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ANALOGIA

ANALOGIA

 

 

Etimologicamente questo termine significa «secondo il pensiero» (dal greco ana-logon). Già usato dai presocratici e da Platone, 1’analogia assume un ruolo importante in Aristotele, che se ne serve sia in metafisica, per qualificare un tipo di unità tra esseri che non appartengono né allo stesso genere né alla stessa specie, sia in logica, per catalogare termini e concetti che non sono predicati né univocamente né equivocamente. S. Tommaso riprende e precisa ulteriormente la dottrina aristotelica e ne fa uno dei capisaldi del suo pensiero filosofico e teologico: è lo strumento concettuale che gli consente di risolvere alcuni problemi fondamentali di logica, gnoseologià, metafisica e teologià, secondo quella linea di moderato realismo che salvaguarda il valore della conoscenza senza incorrere negli errori del razionalismo (idealismo) o del nominalismo, e di difendere il valore della creatura senza compromettere né la trascendenza né l’immanenza del Creatore. Data l’ampiezza e complessita del tema, lo suddividiamo nei seguenti punti:

 

l. Definizione;

 

2. Divisione;

 

3. Fondamento;

 

4. Statuto gnoseologico;

 

5. Applicazioni teologiche. 

 

1. DEFINIZIONE

 

Come per altri elementi del suo pensiero anche per l’analogia S. Tommaso usa un linguaggio vario e duttile. Le espressioni di cui si avvale più spesso, oltre ad analogia, sono: proportio, habitudo, similitudo, communitas, convenientia, praedicatio secundum prius et posterius. Quanto alla definizione del concetto, S. Tommaso la da per scontata e non si cura di farne oggetto di una trattazione esplicita. Di fatto egli propone due distinte definizioni dell’analogia, una riguardante la logica e l’altra la metafisica. In logica 1’analogia è definita in contrapposizione alla univocità e all’equivocità. Ecco un testo esemplare in cui viene chiarito in che consiste la analogia come categoria logica: «Si deve sapere che un termine si può predicare di molte cose in tre modi: univocamente, equi-vocamente e analogicamente. Si predica univocamente quando si ha identità di nome e di concetto (secundum idem nomen et secundum eandem rationem) ossia di definizione, come quando si predica “animale” dell’uomo e dell’asino. L’uno e l’altro sono infatti animali, ciòé sostanze animate sensibili, che è la definizione di animale. Si predica equivocamente, quando il nome è lo stesso ma il concetto è diverso (secundum idem nomen et secundum diversam rationem)... Si dice infine che un termine si predica analogicamente (analogice) se si predica di molte cose i cui concetti e definizioni sono diversi ma si riferiscono a una stessa realtà (rationes et definitiones sunt diversae, sed attribuuntur uni alicui eidem). Per es., “sano” si dice del corpo dell’animale, della urina e della bevanda, ma non secondo un significato completamente identico in tutt’e tre i casi» (De princ. Nat., c. 6, nn. 366-367). In metafisica 1’analogia è definita in contrapposizione alla unità generica e specifica: è un vincolo che unisce tra loro cose che non appartengono allo stesso genere e alla stessa specie, e tuttavia hanno qualche aspetto in comune. «A una cosa si può attribuire l’unità non solo secondo il numero, la specie o il genere, ma anche secondo una certa analogia o proporzione, e questa è l’unita o comunanza esistente tra la creatura e Dio» (I, q. 93, analogia 1, ad 3). L’analogia metafisica è fondata sulla partecipazione di vari enti nella stessa perfezione; in definitiva si tratta della partecipazione alla perfezione dell’essere.

 

2. DIVISIONE

 

Dell’analogiA S. Tommaso presenta innumerevoli divisioni e tra gli studiosi c’è pieno disaccordo sulla possibilità di operare una sistematizzazione organica dell’insegnamento dell’Angelico su questo punto. C’è chi ha pensato di ridurre tutti i tipi di analogia a due: attribuzinne e proporzionalità (Mclnerny); chi a tre: ineguaglianza, attribuzione e proporzionalita (Gaetano); chi a quattro: attribuzione intrinseca, attribuzione estrinseca, proporzionalità propria e proporzionalità metaforica (Suarez); chi è arrivato a un elenco di dodici tipi di analogia (Klubertanz). Pur non condividendo gli apprezzamenti di Suarez in merito alla proporzionalità, ci sembra che la sua divisione dell’analogia in quattro tipi sia esauriente e pienamente soddisfacente. Tra i tanti testi che si potrebbero riferire per documentare il discorso di S. Tommaso su questo punto, due meritano di essere segnalati in modo speciale. Il testo del Commento alle Sentenze (I Sent., d. 19, q. 5, a. 2, ad 1) dove si par-la di tre tipi di analogia: meramente logica (secundum intentionem tantum et non secundum esse) e per questa si cita l’esempio di «sano»; quando è predicato dell’orina, della dieta e dell’animale; meramente fisica o reale (secundum esse et non secundum intentionem) e qui l’esempio addotto è quello di «corpo» quando è predicato delle cose materiali e dei corpi celesti; sia logica sia reale (secundum intentionem et secundum esse) e qui si porta l’esempio di «essere» quando è predicato della sostanza e dell’accidente. L’importanza di questo testo più che per quanto vi dice S. Tommaso è data dal fatto che il Gaetano se n’é servito per ricavare la sua celebre interpretazione della dottrina tomistica della analogia. L’altro testo si trova nel Commento all’Etica (I, lect. 7, nn. 95-96). Dopo avere osservato che lo stesso nome può essere predicato di molte cose secondo nozioni (rationes) che non sono del tutto diverse ma convengono in qualche aspetto, S. Tommaso così prosegue: «Talvolta esse convengono nel fatto che si riferiscono a un unico principio (ad unum principiùm), come quando cose differenti sono dette “militari” ... Talvolta nel fatto che si riferiscono a uno stesso fine (ad unurn finem) come quando la medicina è detta “sana” ... Talvolta secondo le diverse proporzioni a uno stesso soggetto (secundum diversas proportiones ad unum subiectum), come quando la qualità è detta “essere”, perché è una disposizione dell’essere, e la quantità è detta “essere”, perché ne è la sua misura, e simili. Infine secondo una stessa proporzione a diversi soggetti (secunduin proportionem ad diversa subiecta), ad es. la vista, rispetto al corpo e nella stessa proporzione dell’intelletto rispetto all’anima». Nei primi due casi si tratta di analogia di attribu-zione mentre negli ultimi due si tratta di analogia di proporzionalità. S’è detto che i tipi principali dell’analogia sono quattro: due appartengono all’attribuzione (intrinseca ed estrinseca) e due alla propor-zionalità (propria e metaforica). Si ha analogia di attribuzione quando la predicazione viene fatta secondo un rapporto di priorità e dipendenza (secundum prius et posterius) cosicché la perfezione predicata appartiene senz’altro all’analogato principale; mentre negli analogati secondari può essere presente ma anche non esserlo. Quando è presente in tutti gli anaíogati (per es. la bontà detta di Dio, degli angeli, della Madonna, del bambino ecc.) si ha analogia di attribuzione intrinseca; mentre quando è presente soltanto nell’analogato principale (come nella predicazione di «sano») si ha quella estrinseca. Invece c’è analogia di proporzionalità quando un termine viene usato per vari soggetti, ma secondo la misura che conviene (e proporzionatà) ai singoli soggetti. Per es. la vita si può dire sia del fiore, sia del cane, sia dell’elefante, sia dell’uomo, sia di Dio, ma non allo stesso modo e neppure a motivo di qualche rapporto che li unisce tra loro, bensì proporzionatamente al loro diverso grado di essere. Nell’esempio citato si ha analogia di proporzionalità propria, perché la perfezione predicata è effettiva-mente presente in tutti i soggetti. Invece quando si applica il termine «cane» all’animale, alla costellazione e al fucile, allora si ha analogia di proporzionalita metaforica. Quanto al valore dei vari tipi di analogia quando si tratta dei «nomi divini» e, in generale, del linguaggio che noi usiamo per parlare di Dio, c’è profondo disaccordo tra gli interpreti di S. Tommaso. Il Gaetano, che nega la analogia di attribuzione intrinseca, giudica funzionale soltanto la proporzionalità propria. Per cui quando si dice che «Dio è buono», ciò che si intende dire è che la bontà sta a Dio così come la bontà sta all’uomo; ma in effetti l’unica bontà che noi conosciamo è la bontà dell’uomo, non quella di Dio. Molti altri studiosi di S. Tommaso ritengono che l’interpretazione del Gaetano sia inesatta. In effetti, l’Aquinate, quando spiega il significato del linguaggio teologico, si richiama pochissime volte alla proporzionalità, mentre parla quasi sempre di una analogia secundum prius et posterius, che è esattamente 1’analogia di attribuzione e intende riferirsi all’attribuzione intrinseca e non semplicemente alla attribuzione estrinseca perché soltanto la prima conduce a qualche conoscenza effettiva di Dio.

 

3. FONDAMENTO

 

L’analogia si fonda sulla causalità, e precisamente sulla causalità efficiente. Il rapporto di causa comporta necessariamente qualche somiglianza tra la causa e il causato, tra la causa e l’effetto: Omne agens agit simile sibi (ogni agente produce qualche cosa di simile a se stesso) ripete con insistenza S. Tommaso . Nessun effetto può essere un’immagine adeguata della sua causa; ciò vale sia quando la causa è Dio sia quando la causa è una creatura. Quando la causa è Dio, il suo effetto essendo necessariamente una creatura finita, non può eguagliarlo, poiché ha solo un potere finito di imitare l’infinita perfezione della sua causa. Quando la causa è una creatura, non può mai produrre un effetto totalmente simile a sé, poiché nessuna creatura è la causa totale del suo effetto. Per S. Tommaso , dunque, il principio omne agens agti simile sibi significa soltanto che c’è una qualche somiglianza tra la causa e l’effetto. S. Tommaso , tuttavia, non si accontenta di questo vago significato del principio, ma cerca di determinarne più esattamente la portata, distinguendo tra causa univoca e causa equivocal. Nel De potentia egli descrive così questi due tipi di causalita: «La forma dell’effetto è nell’agente naturale in quanto l’agente produce un effetto di natura simile, dal momento che ogni agente produce qualche cosa di simile a sé (omne agens agit aliquid simile sibi). Ora questo avviene in due modi. a) Quando l’effetto porta in sé una perfetta somiglianza con l’agente, in quanto proporzionato al potere dell’agente, allora la forma dell’agente è nell’effetto allo stesso grado; ciò avviene negli agenti univoci, per es. il fuoco genera il fuoco. b) Quando tuttavia l’effetto non è perfettamente simile all’agente, non essendo proporzionato al potere dell’agente, allora la forma dell’effetto non è nell’agente allo stesso grado ma in grado superiore: questo è il caso degli agenti equivoci, per es., il sole genera il fuoco (De Pot., q. 7, analogia 1, ad 8); (cfr. I, q. 105, a. 1, ad 1). La causalità equivoca è quella che interviene quando Dio produce le creature: essa non instaura mai con gli effetti prodotti - che sono sempre necessariamente finiti e imperfetti - una somiglianza generica o specifica ma semplicemente analogica. E questo vale per tutte le perfezioni che Dio comunica alle creature, incluse le perfezioni trascendentali: non c’è mai parità di possesso tra Dio e le creature, ma soltanto una qualche somiglianza con una abissale dissomiglianza. Inoltre il possesso avviene sempre per prius et posterius, ossia secondo il rapporto di priorità e dipendenza.

 

4. STATUTO GNOSEOLOGICO

 

Il problema qui e di sapere se esiste un concetto analogico (distinto dal concetto univoco) o se analoghe sono soltanto le relazioni tra le cose. Ci sono alcuni studiosi che si dicono tomisti (per es. Quiles) che negano che ci possano essere concetti analoghi: i concetti sarebbero tutti necessariamente univoci, e quindi concludono che l’analogia esiste soltanto come vincolo reale tra le cose; in altre parole riconoscono l’analogia come categoria metafisica ma negano 1’analogia come categoria logica. Ora questa tesi non corrisponde affatto al pensiero di S. Tommaso . Abbiamo riferito il testo del Commento alle Sentenze (I, q. 19, a. 5, qc. 2, ad 1), dove S. Tommaso parla esplicitamente di termini e concetti che sono analoghi sia secundum intentionem sia se-cundum esse; ora analogo secundum intentionem significa precisamente analogo in sede logica, ciòe analogo concettualmente (oltre che realmente). Qui non è il caso di approfondire la natura del concetto analogico; ma è certo che S. Tommaso insegna che la categoria dell’analogia si applica sia in sede logica sia in sede metafisica. 

 

5. APPLICAZIONE AL LINGUAGGIO TEOLOGICO (RELIGIOSO)

 

Le applicazioni più importanti della dottrina della analogia riguardano il linguaggio religioso. Con questa dottrina S. Tommaso trova una soluzione adeguata per il problema del senso e del valore del linguaggio che l’uomo usa per parlare di Dio, problema che nel medioevo andava sotto il nome di problema dei «nomi divini», un problema arduo, già attentamente discusso in tutti i suoi aspetti dallo Pseudo-Dionigi nel suo De divinis nominibus, opera di cui lo stesso S. Tommaso ha proposto un commento esemplare. Con 1’analogia il Dottore Angelico respinge allo stesso tempo sia la teoria di Maimonide che, troppo scrupoloso nel difendere la trascendenza di Dio, professava l’equivocità dei nomi divini sia la tesi di Scoto che sosterrà una univocità iniziale di tutti i termini e concetti che l’uomo applica a Dio.

 

Ecco il testo magistrale della Summa Theologiàe in cui S. Tommaso espone la dottrina dell’analogia del linguaggio religioso: « È impossibile che alcuna cosa si predichi di Dio e delle creature univocamente. Poiché ogni effetto, che non è proporzionato alla potenza della causa agente, ritrae una somiglianza dell’agente non secondo la stessa natura, ma imperfettamente (e tale è il caso delle creature rispetto a Dio)... Per conseguenza, applicato all’uomo, il termine sapiente circoscrive in qualche modo e limita la qualità che esprime; non così se applicato a Dio, ma lascia in tal caso la perfezione indicata senza delimitazione ed eccede il significato della parola. Quindi è chiaro che il termine sapiente si dice di Dio e dell’uomo non secondo l’identico concetto (formale). E così di tutti gli altri nomi. Perciò nessun nome si attribuisce in senso univoco a Dio e alle creature. Ma  neanche in senso del tutto equivoco, come alcuni hanno affermato. Perché in tal modo nulla si potrebbe conoscere o dimostrare intorno a Dio partendo dalle creature; ma si cadrebbe continuamente nel sofisma chiamato “equivocazione”. (...) Si deve dunque concludere che tali termini si affermano di Dio e delle creature secondo analogia (secundum analogiam) ciòe proporzione (proportionem). (...) E questo modo di comunanza sta in mezzo tra la pura equivocità e la semplice univocità, perché nei nomi detti per analogia non vi è una nozione unica (una ratio), come negli univoci né totalmente diversa, come negli equivoci; ma il nome che analogicamente si applica a più soggetti significa diverse proporzioni (relazioni) riguardo a una medesima cosa; così sano detto dell’orina, indica il segno della sanità; detto della medicina invece significa la causa della stessa sanità» (I, q. 13, a. 5).

 

Noi però sappiamo che S. Tommaso distingue vari tipi di analogia. Di quale analogia si tratta quando si dice che il linguaggio teologico viene usato analogicamente: dell’attribuzione o della proporzionalità? E poiché ci sono due specie di attribuzione (intrinseca ed estrinseca) e di proporzionalità (propria e metaforica), a quale di esse si ricorre per intendere rettamente ciò che diciamo quando parliamo di Dio? Abbiamo già chiarito, trattando della di-visione dell’analogia, che l’attribuzione intrinseca è quella più ricca di spessore semantico, in quanto riesce a dire qualcosa di intrinseco e di oggettivo di tutti gli anaíogati, sia di quello principale sia di quelli secondari, anche se, ovviamente, non allo stesso modo, ma secundum prius et posterius. Si deve quindi concludere che 1’analogia che S. Tommaso invoca per determinare il senso del linguaggio religioso, quando rifiuta l’univocità e l’equivocità, e 1’analogia di attribuzione intrinseca. Però 1’analogia di attribuzione intrinseca (come pure quella di proporzionalità propria) non vale per tutto il linguaggio religioso, ma soltanto per quello che esprime perfezioni semplici (perfezioni come verità, bontà, bellezza, essere, sostanza, causa, persona ecc., che possono prescindere dallo spazio, dal tempo, dalla materia), non perfezioni miste (che come parlare, sentire, vedere, camminare, adirarsi ecc. sono legate al corpo, alla materia).

 

Ora, il linguaggio religioso abbonda di espressioni «antropomorfiche», relative a perfezioni miste. Questo linguaggio ha valore metaforico e perciò, secondo S. Tommaso , va interpretato secondo 1’analogia di attribuzione estrinseca oppure di proporzionalità metaforica. C’è un’ultima precisazione che S. Tommaso ha cura di fare per determinare meglio il senso dei «nomi divini», anche quando si tratta di nomi che si riferiscono alle perfezioni semplici: è la distinzione tra la res significata e il modus praedicandi: tra ciò che si dice e il modo di dire. Per res praedicata S.Tommaso intende la perfezione (la qualità) indicata da un nome; per modus praedicandi intende il modo secondo cui tale perfezione si realizza, modo che viene connotato o consignificato dallo stesso nome che indica la perfezione; p. es., il nome «sensazione» esprime allo stesso tempo sia la perfezione della conoscenza (res praedicata) sia  il modo secondo cui tale conoscenza si realizza, ossia mediante i sensi (modus praedicandi). Applicata ai nomi divini questa importante distinzione chiarisce che tali nomi (di perfezioni semplici) sono predicati propriamente e direttamente di Dio secondo la res praedicata ma non secondo il modus praedicandi. Così il nome «sapiente» si addice propriamente a Dio quanto alla perfezione del conoscere indicato dal termine sapiente, ma non quanto alla modalità finita (di qualità limitata e accidentale) che viene connotata da tale termine.

 

Anche i concetti umani più elevati, a causa della loro origine, mantengono sempre un riferimento implicito ai modi limitati, dai quali possono essere affrancati solo imperfettamente. I concetti umani non significano mai il modo divino delle perfezioni che noi riconosciamo e attribuiamo a Dio. È per questa ragione che essi possono essere sempre esclusi da Dio. Ed è questo il compito della via negativa, che fa parte dell’intero processo analogico (insieme alla via positiva e alla via eminenziale). Per quanto concerne la via negativa lo stesso S. Tommaso, analizzando la predicazione della perfezione dell’essere che nel suo edificio metafisico e la massima  la più ricca, la più pervasiva di tutte le perfezioni, ha fissato le seguenti tappe: «Anzitutto noi escludiamo da Dio tutto ciò che è corporeo; poi quanto è spirituale o mentale, almeno nel senso in cui questo elemento si trova nelle creature viventi, come, per es., bontà e sapienza. Allora resta nella nostra mente soltanto la verità che Dio è, e nulla più. Infine, eliminiamo anche l’idea dello stesso essere, così come tale idea si trova realizzata nelle stesse creature. Giunti a questo punto Dio rimane avvolto nell’oscura notte dell’ignoranza, ed è in questa ignoranza che noi ci avviciniamo a Dio durante la nostra vita, come dice Dionigi. Infatti, in questa fitta nebbia abita Dio» (I Sent., d. 8, q. 1, analogia 1, ad 4).

 

Da quanto siamo andati dicendo risulta che la dottrina tomistica dell’analogia soddisfa al duplice intento: di salvaguardare, da una parte, una certa - seppur minima - conoscenza di Dio; e dall’altra, di preservare intatta la sua assoluta trascendenza, «la fitta nebbia» in cui Dio abita. L’analogia dà un senso al linguaggio teologico, ma un senso che vale di più come freccia che come immagine. Pertanto 1’analogia non va intesa come ingenua rassomiglianza tra Dio e le sue creature, bensì, come vuole il Concilio lateranense, come mi-nima somiglianza la dove regna la più grande dissomiglianza. In tal modo 1’analogia non distrugge ma salva l’infinita differenza qualitàtiva che separa Dio dalle sue creature. La dottrina tomistica dellanalogia ha valore perenne. Studiosi contemporanei del linguaggio religioso (Ramsey, Ferré, Mascall, Bochenski ecc.) hanno mostrato che essa rappresenta la migliore risposta alle tesi dei positivisti, degli esistenzialisti, degli analisti del linguaggio, i quali pretendono che il linguaggio religioso sia privo di qualsiasi significato oggettivo e che abbia soltanto un valore soggettivo ed emotivo. L’analogia mostra invece che esso possiede un significato oggettivo, per quanto modesto, povero e assai limitato.  

 

Battista Mondin.

 

Dizionario enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,

 

Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

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