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LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI

LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI

 

I. DOTTRINA SOCIALE E PRINCIPIO PERSONALISTA

 

105 La Chiesa vede nell'uomo, in ogni uomo, l'immagine vivente di Dio stesso; immagine che trova ed è chiamata a ritrovare sempre più profondamente piena spiegazione di sé nel mistero di Cristo, Immagine perfetta di Dio, Rivelatore di Dio all'uomo e dell'uomo a se stesso. A quest'uomo, che da Dio stesso ha ricevuto una incomparabile ed inalienabile dignità, la Chiesa si rivolge e gli rende il servizio più alto e singolare, richiamandolo costantemente alla sua altissima vocazione, perché ne sia sempre più consapevole e degno. Cristo, Figlio di Dio, «con la sua incarnazione si è unito in un certo senso ad ogni uomo »; (197) per questo la Chiesa riconosce come suo compito fondamentale il far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. In Cristo Signore, la Chiesa indica e intende per prima percorrere la via dell'uomo, (198) e invita a riconoscere in chiunque, prossimo o lontano, conosciuto o sconosciuto, e soprattutto nel povero e nel sofferente, un fratello «per il quale Cristo è morto» (I Cor 8,11; Rm 14,15). (199)

 

106 Tutta la vita sociale è espressione della sua inconfondibile protagonista: la persona umana. Di questa consapevolezza la Chiesa ha saputo più volte e in molti modi farsi interprete autorevole, riconoscendo e affermando la centralità della persona umana in ogni ambito e manifestazione della socialità: «La società umana è oggetto dell'insegnamento sociale della Chiesa, dal momento che essa non si trova né al di fuori né al di sopra degli uomini socialmente uniti, ma esiste esclusivamente in essi e, quindi, per essi ». (200) Questo importante riconoscimento trova espressione nell'affermazione che «lungi dall'essere l'oggetto e un elemento passivo della vita sociale », l'uomo «ne è invece, e deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e il fine ». (201) Da lui pertanto ha origine la vita sociale, la quale non può rinunciare a riconoscerlo suo soggetto attivo e responsabile e a lui ogni modalità espressiva della società deve essere finalizzata.

 

107 L'uomo, colto nella sua concretezza storica, rappresenta il cuore e l'anima dell'insegnamento sociale cattolico. (202) Tutta la dottrina sociale si svolge, infatti, a partire dal principio che afferma l'intangibile dignità della persona umana. (203) Mediante le molteplici espressioni di questa consapevolezza, la Chiesa ha inteso anzitutto tutelare la dignità umana di fronte ad ogni tentativo di riproporne immagini riduttive e distorte; essa ne ha, inoltre, più volte denunciato le molte violazioni. La storia attesta che dalla trama delle relazioni sociali emergono alcune tra le più ampie possibilità di elevazione dell'uomo, ma vi si annidano anche i più esecrabili misconoscimenti della sua dignità.

 

II. LA PERSONA UMANA «IMAGO DEI»

 

a) Creatura ad immagine di Dio

 

108 Il messaggio fondamentale della Sacra Scrittura annuncia che la persona umana è creatura di Dio (cfr. Sal 139,14-18) e individua l'elemento che la caratterizza e contraddistingue nel suo essere ad immagine di Dio: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Dio pone la creatura umana al centro e al vertice del creato: all'uomo (in ebraico «adam »), plasmato con la terra («adamah»), Dio soffia nelle narici l'alito della vita (cfr. Gen 2,7). Pertanto, «essendo ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione ». (204)

 

109 La somiglianza con Dio mette in luce che l'essenza e l'esistenza dell'uomo sono costitutivamente relazionate a Dio nel modo più profondo. (205) È una relazione che esiste per se stessa, non arriva, quindi, in un secondo tempo e non si aggiunge dall'esterno. Tutta la vita dell'uomo è una domanda e una ricerca di Dio. Questa relazione con Dio può essere ignorata oppure dimenticata o rimossa, ma non può mai essere eliminata. Fra tutte le creature del mondo visibile, infatti, soltanto l'uomo è «"capace" di Dio» («homo est Dei capax»). (206) La persona umana è un essere personale creato da Dio per la relazione con Lui, che soltanto nella relazione può vivere ed esprimersi e che tende naturalmente a Lui. (207)

 

110 La relazione tra Dio e l'uomo si riflette nella dimensione relazionale e sociale della natura umana. L'uomo, infatti, non è un essere solitario, bensì «per sua intima natura è un essere sociale, e non può vivere né esplicare le sue doti senza relazioni con gli altri ». (208) A questo riguardo risulta significativo il fatto che Dio ha creato l'essere umano come uomo e donna (209) (cfr. Gen 1,27): «Quanto mai eloquente è l'insoddisfazione di cui è preda la vita dell'uomo nell'Eden fin quando il suo unico riferimento rimane il mondo vegetale e animale (cfr. Gen 2,20). Solo l'apparizione della donna, di un essere cioè che è carne dalla sua carne e osso dalle sue ossa (cfr. Gen 2,23), e in cui ugualmente vive lo spirito di Dio Creatore, può soddisfare l'esigenza di dialogo inter-personale che è così vitale per l'esistenza umana. Nell'altro, uomo o donna, si riflette Dio stesso, approdo definitivo e appagante di ogni persona ». (210)

 

111 L'uomo e la donna hanno la stessa dignità e sono di eguale valore,(211) non solo perché ambedue, nella loro diversità, sono immagine di Dio, ma ancor più profondamente perché è immagine di Dio il dinamismo di reciprocità che anima il noi della coppia umana. (212) Nel rapporto di comunione reciproca, uomo e donna realizzano profondamente se stessi, ritrovandosi come persone attraverso il dono sincero di sé. Il loro patto di unione è presentato nella Sacra Scrittura come un'immagine del Patto di Dio con gli uomini (cfr. Os 1-3; Is 54; Ef 5,21-33) e, al tempo stesso, come un servizio alla vita. (214) La coppia umana può partecipare, infatti, alla creatività di Dio: «Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra"» (Gen 1,28).

 

112 L'uomo e la donna sono in relazione con gli altri innanzi tutto come affidatari della loro vita: (215) «Domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello» (Gen 9,5), ribadisce Dio a Noè dopo il diluvio. In questa prospettiva, la relazione con Dio esige che si consideri la vita dell'uomo sacra e inviolabile. (216) Il quinto comandamento: «Non uccidere!» (Es 20,13; Dt 5,17) ha valore perché Dio solo è Signore della vita e della morte. (217) Il rispetto dovuto all'inviolabilità e all'integrità della vita fisica ha il suo vertice nel comandamento positivo: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18), con cui Gesù Cristo obbliga a farsi carico del prossimo (cfr. Mt 22,37-40; Mc 12,29-31; Lc 10,27-28).

 

113 Con questa particolare vocazione alla vita, l'uomo e la donna si trovano di fronte anche a tutte le altre creature. Essi possono e devono sottoporle al loro servizio e goderne, ma la loro signoria sul mondo richiede l'esercizio della responsabilità, non è una libertà di sfruttamento arbitrario ed egoistico. Tutta la creazione, infatti, ha il valore di «cosa buona» (cfr. Gen l, 4.10.12.18.21.25) davanti allo sguardo di Dio, che ne è l'autore. L'uomo deve scoprirne e rispettarne il valore: è questa una sfida meravigliosa alla sua intelligenza, la quale lo deve innalzare come un'ala (218) verso la contemplazione della verità di tutte le creature, ossia di ciò che Dio vede di buono in esse. Il Libro della Genesi insegna, infatti, che il dominio dell'uomo sul mondo consiste nel dare un nome alle cose (cfr. Gen 2,19-20): con la denominazione l'uomo deve riconoscere le cose per quello che sono e stabilire verso ciascuna di esse un rapporto di responsabilità. (2l9)

 

114 L'uomo è in relazione anche con se stesso e può riflettere su se stesso. La Sacra Scrittura parla a questo riguardo del cuore dell'uomo. Il cuore designa appunto l'interiorità spirituale dell'uomo, ossia quanto lo distingue da ogni altra creatura: Dio «ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine» (Qo 3,11). Il cuore indica, in definitiva, le facoltà spirituali proprie dell'uomo, sue prerogative in quanto creato ad immagine del suo Creatore: la ragione, il discernimento del bene e del male, la volontà libera. (220) Quando ascolta l'aspirazione profonda del suo cuore, ogni uomo non può non fare propria la parola di verità espressa da sant' Agostino: «Tu ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te ». (221)

 

b) Il dramma del peccato

 

115 La mirabile visione della creazione dell'uomo da parte di Dio è inscindibile dal quadro drammatico del peccato delle origini. Con un'affermazione lapidaria l'apostolo Paolo sintetizza il racconto della caduta dell'uomo contenuto nelle prime pagine della Bibbia: «a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte» (Rm 5,12). L'uomo, contro il divieto di Dio, si lascia sedurre dal serpente e allunga le mani sull'albero della vita, cadendo in balia della morte. Con questo gesto l'uomo tenta di forzare il suo limite di creatura, sfidando Dio, unico suo Signore e sorgente della vita. È un peccato di disobbedienza (cfr. Rm 5,19) che divide l'uomo da Dio. (222)

 

Dalla Rivelazione sappiamo che Adamo, il primo uomo, trasgredendo il comandamento di Dio, perde la santità e la giustizia in cui era costituito, ricevute non soltanto per sé, ma per tutta l'umanità: «cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali ». (223)

 

116 Alla radice delle lacerazioni personali e sociali, che offendono in varia misura il valore e la dignità della persona umana, si trova una ferita nell'intimo dell'uomo: «Alla luce della fede noi la chiamiamo il peccato: cominciando dal peccato originale, che ciascuno porta dalla nascita come un'eredità ricevuta dai pro genitori, fino al peccato che ciascuno commette, abusando della propria libertà ». (224) La conseguenza del peccato, in quanto atto di separazione da Dio, è appunto l'alienazione, cioè la divisione dell'uomo non solo da Dio, ma anche da se stesso, dagli altri uomini e dal mondo circostante: «la rottura con Dio sfocia drammaticamente nella divisione tra i fratelli. Nella descrizione del "primo peccato", la rottura con Jahve spezza al tempo stesso il filo dell'amicizia che univa la famiglia umana, cosicché le pagine successive della Genesi ci mostrano l'uomo e la donna, che puntano quasi il dito accusatore l'uno contro l'altra (cfr. Gen 3,12); poi il fratello che, ostile al fratello, finisce col togliergli la vita (cfr. Gen 4,2-16). Secondo la narrazione dei fatti di Babele, la conseguenza del peccato è la frantumazione della famiglia umana, già cominciata col primo peccato e ora giunta all'estremo nella sua forma sociale ». (225) Riflettendo sul mistero del peccato non si può non considerare questa tragica concatenazione di causa e di effetto.

 

117 Il mistero del peccato si compone di una doppia ferita, che il peccatore apre nel proprio fianco e nel rapporto col prossimo. Perciò si può parlare di peccato personale e sociale: ogni peccato è personale sotto un aspetto; sotto un altro aspetto, ogni peccato è sociale, in quanto e perché ha anche conseguenze sociali. Il peccato, in senso vero e proprio, è sempre un atto della persona, perché è un atto di libertà di un singolo uomo, e non propriamente di un gruppo o di una comunità, ma a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale, tenendo conto del fatto che «in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri ». (226) Non è tuttavia legittima e accettabile un'accezione del peccato sociale che, più o meno consapevolmente, conduca a diluirne e quasi a cancellarne la componente personale, per ammettere solo colpe e responsabilità sociali. Al fondo di ogni situazione di peccato si trova sempre la persona che pecca.

 

118 Alcuni peccati, inoltre, costituiscono, per il loro oggetto stesso, un'aggressione diretta al prossimo. Tali peccati, in particolare, si qualificano come peccati sociali. È sociale ogni peccato commesso contro la giustizia nei rapporti tra persona e persona, tra la persona e la comunità, ancora tra la comunità e la persona. È sociale ogni peccato contro i diritti della persona umana, a cominciare dal diritto alla vita, incluso quello del nascituro, o contro l'integrità fisica di qualcuno; ogni peccato contro la libertà altrui, specialmente contro la libertà di credere in Dio e di adorarlo; ogni peccato contro la dignità e l'onore del prossimo. Sociale è ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze, in tutta l'ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini. Infine, è sociale quel peccato che «riguarda i rapporti tra le varie comunità umane. Questi rapporti non sempre sono in sintonia col disegno di Dio, che vuole nel mondo giustizia, libertà e pace tra gli individui, i gruppi, i popoli ». (227)

 

119 Le conseguenze del peccato alimentano le strutture di peccato. Esse si radicano nel peccato personale e, quindi, sono sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le originano, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere. E così esse si rafforzano, si diffondono, diventano sorgente di altri peccati e condizionano la condotta degli uomini. (228) Si tratta di condizionamenti e ostacoli, che durano molto di più delle azioni compiute nel breve arco della vita di un individuo e che interferiscono anche nel processo dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o la cui lentezza vanno giudicati anche sotto questo aspetto. (229) Le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le strutture che essi inducono sembrano oggi soprattutto due: «da una parte, la brama esclusiva del profitto e, dall'altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l'espressione: "a qualsiasi prezzo" ». (230)

 

c) Universalità del peccato e universalità della salvezza

 

120 La dottrina del peccato originale, che insegna l'universalità del peccato, ha una fondamentale importanza: «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (l Gv 1,8). Questa dottrina induce l'uomo a non restare nella colpa e a non prenderla alla leggera, cercando di continuo capri espiatori negli altri uomini e giustificazioni nell'ambiente, nell'ereditarietà, nelle istituzioni, nelle strutture e nelle relazioni. Si tratta di un insegnamento che smaschera tali inganni.

 

La dottrina dell'universalità del peccato, tuttavia, non deve essere slegata dalla consapevolezza dell'universalità della salvezza in Gesù Cristo. Se ne viene isolata, essa ingenera una falsa angoscia del peccato e una considerazione pessimistica del mondo e della vita, che induce a disprezzare le realizzazioni culturali e civili dell'uomo.

 

121 Il realismo cristiano vede gli abissi del peccato, ma nella luce della speranza, più grande di ogni male, donata dall'atto redentivo di Gesù Cristo, che ha distrutto il peccato e la morte (cfr. Rm 5,18-21; 1 Cor 15,56-57): «In Lui Dio ha riconciliato l'uomo con Sé ». (231) Cristo, l'Immagine di Dio (cfr. 2 Cor 4,4; Col 1,15), è Colui che illumina pienamente e porta a compimento l'immagine e somiglianza di Dio nell'uomo. La Parola che si fece uomo in Gesù Cristo è da sempre la vita e la luce dell'uomo, luce che illumina ogni uomo (cfr. Gv 1,4.9). Dio vuole nell'unico mediatore Gesù Cristo, Suo Figlio, la salvezza di tutti gli uomini (cfr. 1 Tm 2,4-5). Gesù è al tempo stesso il Figlio di Dio e il nuovo Adamo, ossia il nuovo uomo (cfr. 1 Cor 15,47-49; Rm 5,14): «Con la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l'uomo all'uomo e gli svela la sua altissima vocazione ». (232) In Lui noi siamo da Dio «predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).

 

122 La realtà nuova che Gesù Cristo dona non s'innesta nella natura umana, non le si aggiunge dall'esterno: è invece quella realtà di comunione con il Dio trinitario verso la quale gli uomini sono da sempre orientati nel profondo del loro essere, grazie alla loro creaturale similitudine con Dio; ma si tratta anche di una realtà che essi non possono raggiungere con le loro sole forze. Mediante lo Spirito di Gesù Cristo, Figlio incarnato di Dio, nel quale tale realtà di comunione è già realizzata in modo singolare, gli uomini vengono accolti come figli di Dio (cfr. Rm 8,14-17; GaI 4,4-7). Per mezzo di Cristo, partecipiamo alla natura di Dio, che ci dona infinitamente di più «di quanto possiamo domandare o pensare» (Ef 3,20). Ciò che gli uomini hanno già ricevuto non è che un pegno o una «caparra» (2 Cor 1,22; Efl,14) di ciò che otterranno completamente soltanto davanti a Dio, visto «a faccia a faccia» (1 Cor 13,12), ossia una caparra della vita eterna: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3).

 

123 L'universalità della speranza cristiana include, oltre agli uomini e alle donne di tutti i popoli, anche il cielo e la terra: «Stillate, cieli, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. lo, il Signore, ho creato tutto questo» (Is 45,8). Secondo il Nuovo Testamento anche la creazione intera, infatti, insieme con tutta l'umanità, è in attesa del Redentore: sottoposta alla caducità, si protende piena di speranza, tra i gemiti e i dolori del parto, attendendo di essere liberata dalla corruzione (cfr. Rm 8,18-22).

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