INDIVIDUO
O PERSONA?
Pensieri
sull’antropologia odierna
e
di Giovanni Paolo II
Luglio 2001
Articolo pubblicato su Liberal
versione integrale
L’alternativa
posta nel titolo di questo breve saggio indica l’alternativa fondamentale
attinente alla verità sull’uomo e al contempo sostiene la tesi che
l’insegnamento di K. Woityla/Giovanni Paolo II
sull’uomo trova nel "principio personalista" la sua chiave di volta.
Cogliere la formulazione
come alternativa non è oggi facile, dal momento
che la sinonimia individuo/persona è un dato di fatto nel linguaggio comune.
Risultato, questa sinonimia, di una progressiva perdita del concetto di persona quale era stato elaborato dal pensiero cristiano,
soprattutto nel grande e faticoso dibattito trinitario e cristologico.
Abbiamo già così
formulato tutte le idee fondamentali che vorrei sviluppare nella seguente
riflessione. Sono le seguenti. Esiste una distinzione inadeguata fra
"individuo" e "persona", ma nella modernità abbiamo
assistito ad una progressiva riduzione dell’essere-persona all’essere
individuo. Questa riduzione costituisce la vera caduta dell’uomo fuori dalla sua verità, e quindi, la radice ultima dei
problemi attuali. L’antropologia di K. Woityla/Giovanni
Paolo II affronta questa caduta, per riportare l’uomo alla verità del suo
essere-persona. E’ questo, mi sembra, il significato
fondamentale della cura hominis che la
filosofia di K. Woityla e il Magistero di Giovanni
Paolo II ha portato in sé: "L’uomo non può perdere il posto che gli è
proprio in quel mondo che egli stesso ha configurato" [K. Woityla, Persona e atto, Rusconi
Libri, Rimini 1999, pag. 77].
1.
L’uomo
è persona.
Nei primi anni del suo
pontificato, Giovanni Paolo II dedicò una lunga serie di catechesi del
mercoledì al tema dell’amore umano, in ordine alla
costruzione di un’antropologia adeguata, come egli stesso la qualificò.
Questo blocco di catechesi costituisce il punto di riferimento essenziale per
chi voglia conoscere il pensiero di Giovanni Paolo II
sull’uomo.
Mi sembra che questa
costruzione si fondi su tre pilastri o affermazioni fondamentali sull’uomo.
La prima: l’uomo è a immagine e somiglianza di Dio. E’ questa la verità
originaria riguardante l’uomo: una verità non proposta
all’uomo, ma semplicemente donata dall’atto e coll’atto
creativo di Dio. E quindi è una verità che la libertà
dell’uomo non potrà mai interamente distruggere. E’ questa costituzione
originaria dell’uomo che assicura la fedeltà di Dio all’uomo medesimo, alla Sua
paternità nei confronti dell’uomo [cfr. Lett. Enc. Redemptor
hominis 9,1-2; EE/8,26-27]. Vorrei fermarmi
brevemente su questa originaria verità antropologica.
Con essa
si afferma che l’uomo non è semplicemente il momento di una processo evolutivo,
né il prodotto di un processo storico. L’uomo, ogni uomo esiste in una verità
dell’inizio creata da Dio coll’uomo stesso,
che lo pone al di sopra di ogni altra realtà finita
visibile. Ciò che sto dicendo potrebbe essere espresso con questa proposizione,
vera anche se rimasta puramente ipotetica: ogni uomo, ne esistesse
anche uno solo, costituisce per Dio il senso totale del mondo della
creazione e della redenzione. Con ciò in sostanza si vuol dire
che la realtà più consistente di tutte nell’universo dell’essere creato e della
storia è il rapporto di Dio con l’uomo in quanto persona. E’ per questo che Giovanni Paolo II quando parla dell’uomo,
ama citare un’affermazione di S. Tommaso d’Aquino [cfr. Summa contra
Gentes III, cap. 112], citata anche dal Concilio
Vaticano II [cfr. Cost. past.
Gaudium et Spes 24,4], secondo la quale l’uomo
è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa. "Con ciò
Dio ha …. scelto l’uomo come quella realtà nella quale
anche tutta la grazia della redenzione deve accadere, rivelarsi ed in un certo
senso "giustificarsi". Ciò significa: l’azione di grazia svolta da
Dio non va mai contro l’uomo, non passa mai sopra la testa dell’uomo e non
lascia mai da parte l’uomo". [K. Krenn, L’antropologia di Giovanni Paolo II e la teologia della Chiesa,
in Il Nuovo Aereopago 5/3 [autunno 1986], pag.
80].
Quando Giovanni Paolo II parla di "persona umana"
intende in primo luogo questa costituzione ontologica dell’uomo [ad immagine e
somiglianza di Dio] e questa sua centralità nella storia.
La seconda: l’uomo è comunione
interpersonale. Il significato di questa seconda affermazione sull’uomo in
primo luogo non è etico [= l’uomo deve
avere un rapporto di comunione con gli altri], ma ontologico. Essa
descrive chi è l’uomo. Mi sembra che questo sia il momento più originale
nella costruzione dell’antropologia adeguata di cui parlavo, compiuta da K. Woityla/Giovanni Paolo II.
Per coglierne la verità,
occorre tener conto che la vocazione alla comunione interpersonale ontologicamente fondata è significata originariamente dalla
sessualità umana, dal fatto che la persona umana è
uomo-donna. "Significata" ha qui il senso forte che solitamente ha
nel vocabolario cristiano. Non si tratta di un senso fissato convenzionalmente:
si è da sempre convenuto che l’uomo esiste per la donna e reciprocamente, ma
niente proibisce che la convenzione sia cambiata o semplicemente soppressa. Si
tratta di un fatto fisico-biologico che è portatore di una realtà personale; un
fatto fisico-biologico in cui dimora un senso attinente alla verità della
persona come tale. E’ un fatto [la divaricazione sessuale] che dice nel suo
linguaggio proprio una verità essenziale sulla persona: il suo "non
essere-bene" che resti sola, il suo essere fatta in modo tale da
trovare nella comunione con le altre persone la
pienezza del suo essere [= il suo bene]. Giovanni Paolo II parlerà, usando
questa volta un termine esplicitamente cristiano, di un "sacramento
originario o primordiale".
Ritrovando nella
sessualità umana il linguaggio della persona come soggetto in relazione con le
altre persone, Giovanni Paolo II ha imboccato la via della soluzione
teorico-pratica di un difficile problema antropologico, ed ha reso necessario un’analisi metafisica dell’amore.
Il problema antropologico. La vicenda umana, il nostro esistere è attraversato
dalla necessità di comporre una triplice divisione strutturale che diventa
anche contrapposizione congiunturale: la divisione corpo-spirito dentro
all’uomo (a); la divisione uomo-donna (b); la divisione individuo-società
(c).
(a) Identificando il corpo come linguaggio della persona,
Giovanni Paolo II riprende, dal punto di vista metafisico, la tesi di S.
Tommaso, che di fatto non è mai risultata vincente nel pensiero cristiano: la
tesi dell’unità sostanziale della persona che afferma che la persona umana è
spirito e corpo. E dal punto di vista fenomenologico registra questa tesi tommasiana
come vera chiave di volta della sua visione del sociale umano.
(b) La divisione uomo-donna va risolta non negando la
diversità, non affermando semplicemente la complementarietà in una sorta di
cultura androgina, ma costituendo una comunione nella reciprocità dei due modi
fondamentali di essere persone umane.
(c) La divisione individuo-società va risolta
nell’unificazione creata da un vero bene comune, oggettivamente
vero e soggettivamente vissuto come tale dai suoi membri. Solo il bene comune
può essere la base adeguata di ogni con-vivere umano,
ed esso non può che essere la realizzazione della persona.
Da ciascuna di questa
triplice risposta antropologica nasce una categoria etica: quella di integrazione, quella di comunione, quella
di partecipazione. Non possiamo sviluppare questo versante etico del
discorso antropologico di Giovanni Paolo II.
La metafisica dell’amore. Questa dimensione della persona – il suo essere/dover
essere nella comunione interpersonale – pone il problema della verità
ultima dell’amore. La domanda di fondo ancora una
volta non è "che cosa devo fare per amare una persona?", ma è
"che cosa è l’amore di una persona?". K. Woityla/Giovanni
Paolo II ripropone la centralità della domanda sulla
verità dell’amore tanto cara alla tradizione agostiniana.
Volendo stringere al
massimo la visione che K. Woityla/Giovanni Paolo II ha dell’amore in rapporto alla (verità della) persona mi sembra
di poterla riassumere in tre affermazioni.
La prima: "Ciò che
la persona è, il suo vero essere in quanto persona, si attualizza solo
nell’amore…. Poiché la persona in quanto tale … è il
bene supremo del mondo finito, l’amore è la risposta suprema al valore ed il
bene più perfetto del mondo" [J. Seifert, Essere e persona, ed. Vita e Pensiero, Milano 1989, pag.
381]. Esiste un rapporto inscindibile fra amore e persona: se non sai la
verità sull’amore non puoi sapere la verità sulla persona, e reciprocamente.
La seconda: l’unione fra
le persone raggiunge il suo vertice non attraverso il reciproco conoscersi, ma
attraverso il reciproco amarsi. E
pertanto la dialettica "uno-molti",
problema centrale nella metafisica da Platone in poi, trova la sua soluzione
perfetta nell’amore interpersonale.
La terza: il supremo auto-possesso e la suprema autonomia della
persona si manifestano in modo supremo nel dono di se stessi all’altro.
Giovanni Paolo II ama ritornare spesso su questo paradosso della persona: è se
stessa massimamente nel dono di se stessa. Egli ha confidato di
ritenere che l’affermazione più importante fatta dal Concilio sull’uomo è questa: l’uomo non può "ritrovarsi pienamente
se non attraverso un dono sincero di sé" [Cost. past. Gaudium et
Spes 24,4].
La terza: la libertà dell’uomo è
la capacità di operare la verità nell’amore. La costruzione di un’antropologia
adeguata quale sopra abbiamo appena schizzata esige di
porre al suo centro il discorso sulla libertà. "Al centro", ho detto:
non "il centro". Su questo la filosofia di
K. Woityla e il magistero di Giovanni Paolo II è
esplicito. Cito un solo testo: "l’uomo è se
stesso attraverso la verità. La relazione con la verità decide della sua
umanità e costituisce la dignità della sua persona" [K. Woityla, Segno
di contraddizione, ed. Vita e Pensiero, Milano 1977, pag. 133]. La
verità del proprio essere-persona è affidata alla libertà, ma la libertà non è potere di determinare la verità di se stesso.
La persona è/deve essere libera nella verità e vera
nella sua libertà: veramente libera e liberamente vera. L’amore è l’espressione
più alta della persona perché ne esprime al massimo la
verità nel massimo della libertà.
2.
Individuo
e persona: un incontro impossibile?
In questa seconda e più
breve parte della mia riflessione vorrei rispondere
alla seguente domanda: la curvatura individualista che in Occidente ha
subito la metafisica della persona, in che rapporto si pone coll’antropologia adeguata di K. Woityla/
Giovanni Paolo II? La mia risposta in sintesi è articolata nei seguenti due
momenti: la domanda da cui viene generata
quella curvatura è una domanda sensata; la risposta data ha tradito
teoricamente e praticamente quella domanda che trova risposta
nell’arricchimento del concetto di persona operato da K. Woityla/Giovanni
Paolo II.
Il fatto di ciò che ho
chiamato "curvatura individualista" è qui dato per verificato. Da
quale esigenza nasceva e quindi quale domanda poneva?
Dall’esigenza di affermare l’originalità dell’uomo nell’universo dell’essere,
ponendo questa originalità – in questo consiste la
"curvatura individualista" – nell’affermazione del primato della
libertà intesa come negazione di ogni appartenenza. Sono sempre più convito che
le cifre dell’antropologia della modernità si ritrovano alla fine tutte nella
negazione di un’originaria appartenenza della persona ad un Altro.
L’affermazione, alla fine, della persona è stata pensata come sradicamento:
F. Kafka alla fine del
percorso parlerà di un mal di mare in terra ferma.
Sradicamento della libertà dalla verità e della verità
dalla libertà; sradicamento della persona dalle relazioni originarie: compare
la figura dell’individuo. E dell’individuo diviso in
se stesso e da ogni altro.
La domanda che poneva
quindi era circa la verità della persona come verità
della sua libertà. Quale è la risposta che il
Magistero di Giovanni Paolo II da a questa domanda seria? ed
ancor prima l’antropologia di K. Woityla? E’ espressa
mirabilmente in un suo testo poetico: "Ora io devo trovare me stesso in
te, se devo trovare te in me stesso. Non comprendi che in questo caso tu non
sei del tutto libera? L’amore, infatti, non lascia libertà di volere né a chi
ama né a chi è amato – e, nello stesso tempo, l’amore è una liberazione dalla
libertà, perché la libertà solo per sé sarebbe
orribile" [cit. da T.
Styczen, Essere se stessi è trascendere se
stessi, in K. Woityla, Persona e atto,
Rusconi Libri, Rimini 1999, pag. 727].
Il vero dramma dell’uomo
permane sempre lo stesso: è quello dell’amore. E ciò di cui l’uomo ha più bisogno
è che gli si dica la verità sull’amore.
Concludo. La riflessione molto schematica che ho condotto sopra
mostra quanto meno come il Magistero di Giovanni Paolo
II debba essere ancora profondamente assimilato per dare una risposta vera
all’uomo di oggi, naufrago nel mare della pura possibilità senza più alcuna
necessità. E nel mare della possibilità "anche la bussola" scrive S. Kierkegaard "è dialettica, e non è possibile distinguere quando l’ago magnetico devia e quando indica la
direzione giusta". Ecco perché oggi l’uomo si trova nel suo più grave
pericolo: chiamare il suo autoassassinio atto di autocreazione.
Carlo
Caffarra
Arcivescovo di Bologna