Peccato originale
E' il
peccato commesso dal capostipite della famiglia umana (Adamo) e trasmesso ai
suoi discendenti. E' detto anche "caduta originate" perché suppone
l’elevazione dell’uomo all’ordine della grazia e il conferimento di un
complesso di privilegi o "doni di integrità" goduti in un primitivo
stato di innocenza. Considerato nei progenitori il peccato originale si dice "personale-originante",
e nella loro discendenza "originale-originato".
E' dogma fondamentale della fede
cattolica, già definito nel XV Concilio di Cartagine (418) e nel II Concilio
di Orange (529) contro i
Pelagiani (e che sarà ribadito in seguito dal Concilio di Trento, nel 1546, contro i Protestanti). E', tra le verità di fede, a un tempo una delle più oscure e più chiare: oscura
nella sua origine, chiarissima nei suoi effetti.
La dottrina del peccato originale occupava un
posto importante nella catechesi cristiana sin dal tempi di Ireneo,
Tertulliano, Origene, ma fino a quando Pelagio non ne contestò l’autenticità
sostenendo che "il peccato di Adamo
recò danno a lui solo e non a tutto il genere umano" nessuno si era
preoccupato di dare a questa dottrina una sistemazione teologica esauriente.
Ci pensò finalmente il grande Dottore di Ippona il quale per provare
l’esistenza del peccato originale addusse tre argomenti principali: 1)
l’insegnamento della S. Scrittura (Genesi
e S. Paolo in particolare); 2) la prassi liturgica del battesimo dei
bambini, prassi indubbiamente basata sul convincimento che essi non vengano al
mondo in stato di innocenza, ma di peccato; 3) l’esperienza universale del
male e del dolore suppone chiaramente una colpa comune di cui ogni uomo è
divenuto corresponsabile. Sulla natura del peccato originale lo stesso Agostino
confessa che non vi è nulla
di più oscuro da comprendere (nihil ad intelligendum secretius) e
si limita alla seguente definizione: "Concupiscentia cum reatu", dando al termine concupiscentia il significato di inclinazione
dell’animo a posporre i beni eterni ai beni temporali, e al termine reato il significato di privazione
della vita divina, privazione colpevole a causa del vincolo ontologico che
unisce tutti gli uomini al capostipite dell’umanità, Adamo (omnes ille sumus).
La elaborazione agostiniana
della dottrina del peccato originale divenne uno dei punti saldi della
teologia cattolica. Nella sostanza la riprende e la fa sua anche S. Tommaso, il
quale però la inquadra in una nuova prospettiva antropologica e metafisica,
una prospettiva che gli fa riconoscere tutta la dignità della creatura,
l’efficacia delle cause seconde, la relativa autonomia dell’uomo che diviene
interamente responsabile delle proprie decisioni. Grazie a tale prospettiva
filosofica, S. Tommaso può radicare meglio nell’uomo stesso e non in qualche
potenza esteriore (il demonio) la causa del peccato originale
1. NATURA DEL PECCATO ORIGINALE
Trattandosi
di una qualità negativa, che non ha senso in sé stessa ma soltanto in rapporto
a quella qualità che viene a mancare a causa del peccato, questo viene definito
da S. Tommaso in rapporto alla "giustizia originale" (originalis justitia), e
questa viene a sua volta cosi definita: "La giustizia originale consiste
nella sottomissione dell’uomo a Dio e nella sottomissione delle creature
inferiori all’uomo"(Comp. Theol., I,
c. 187). Ecco quindi la formula
precisa con
cui S. Tommaso fissa il concetto di peccato
originale: "E una
disposizione disordinata derivante dal turbamento di quell’armonia che
costituiva la giustizia originale (est
quaedam inordinata dispositio proveniens ex dissolutione harmoniae in qua
consistebat ratio originalis justitiae)" (I-II, q. 82, a. 1).
S. Tommaso si affretta però a precisare che non si tratta di una semplice
privazione bensì di una disposizione (habitus)
corrotta,
la quale comporta oltre alla privazione
della giustizia originale anche un grave disordine nell’anima (ibid.).
Da un altro punto di vista,
avvalendosi delle categorie aristoteliche S. Tommaso può dire che elemento
formale del peccato originale è la perdita delta giustizia originale mentre il
disordine delle facoltà, in particolare la concupiscenza, rappresenta
l’elemento materiale. "Tutto l’ordine della giustizia originale si
doveva al fatto che la volontà umana era sottomessa a Dio. Sottomissione che
consisteva principalmente nella volontà, che ha il compito di muovere tutte le
altre facoltà verso il fine. Perciò la
volontà con la sua avversione a Dio, ha portato il disordine in tutte le altre
cose. Ecco quindi che la privazione della giustizia originale che assicurava
la sottomissione della volontà a Dio, è la parte formale del peccato originale;
mentre tutto il disordine delle altre facoltà ne è come l’elemento materiale.
Quest’ultimo disordine consiste soprattutto nel fatto che queste facoltà si
volgano disordinatamente ai beni transitori: e tale disordine con nome generico
si chiama concupiscenza. Perciò
il peccato originate materialmente è la concupiscenza; formalmente è la
mancanza (defectus) della giustizia originale"
(I-II, q. 82, a. 3).
La precisazione di S. Tommaso
relativa at ruolo e at significato delta concupiscenza (ridotta a elemento
materiale) è motto importante: essa elimina quell’ambiguità che c’è in alcuni
testi di Agostino, che sembrano suggerire una identificazione del peccato
originale con Ia concupiscenza.
Il peccato originale,
come sottolinea con insistenza il Dottore Angelico, investe tutto l’uomo, non
solo l’anima o solo il corpo; ma colpisce anzitutto l’anima (in quanto procede
da un atto di volontà) e secondariamente il corpo. "Sede principale di un
peccato è quella parte dell’anima che ne è la causa movente. Se la causa
movente del peccato è, per es., il piacere dei sensi, il quale appartiene
quale oggetto proprio al concupiscibile, ne segue che la facoltà del
concupiscibile è la sede propria di codesto peccato. Ora è evidente che il peccato originale viene causato
dall’origine o generazione. Perciò quella parte dell’uomo, che viene per prima
raggiunta dalla generazione umana, è la sede primaria del peccato originate.
Ora la generazione ha come termine diretto l’anima, in quanto forma del corpo (..). Dunque l’anima è sede
primaria del peccato originale in forza della sua assenza"(I-II, q. 82,
a. 2).
Il peccato originale è
un peccato gravissimo, tanto che si può dire infinito: "Est infinitum
tripliciter: scilicet ratione Dei offensi, boni amissi, scilicet Dei, et
naturae corruptae" (III
Sent., d. 20, q. 2). La malizia del peccato originale consiste nella
rivolta dell’uomo a Dio, nella ambizione di somigliare a Lui, nella folle
pretesa di essere sufficiente a sé stesso.., quindi nel rifiuto del suo
primato, del suo amore, della sua amicizia. Ed ecco la "rottura" come
posizione antitetica alla precedente: alla subordinazione della volontà umana a Dio, succede l’insubordinazione, alla quale nell’uomo
segue la rivolta delle facoltà inferiori; quindi, la concupiscenza quale
impulso disordinato ai beni creati (I-II, q. 82, a. 3).
Alla pari di S. Agostino
che aveva distinto varie forme di offesa a Dio nel peccato originale (superbia,
avarizia, concupiscenza, disobbedienza, infedeltà ecc.), anche S. Tommaso dice
che il peccato originale è molteplice (peccatum
multiplex). Trattando del peccato di Eva egli distingue cinque aspetti
principali: "Cinque peccati ella commise: 1°, di
superbia, col desiderio disordinato di eccellenza; 2°, di curiosità, desiderando
la scienza oltre i limiti prefissi; 3°, di gola, lasciandosi
attirare dalla soavità del cibo da mangiarne; 4°, d’infedeltà, con un falso
concetto di Dio; 5°, di disubbidienza, trasgredendo il comando di Dio" (Comp. Theol., I, c. 190).
Altra precisazione importantissima che aggiunge S. Tommaso è che il peccato
originale è un peccato della natura (e la natura che viene trasmessa in forma corrotta, e perciò
si tratta di una pena più che di una colpa) e non di un peccato personale: "Appunto
in questo modo il difetto dell’originale giustizia è peccato di natura:
perché deriva dalla volontà disordinata del primo princìpio della natura umana,
ossia il primo padre. Essendo volontario rispetto alla natura, passa in tutti
quelli che dal primo principio ricevono la natura umana,
vi passa come in membra
del primo princìpio: e si dice peccato originale perché è derivato per origine
dal primo
padre dei posteri. Gli altri peccati, cioè gli attuali, riguardano
immediatamente la persona che pecca: il peccato originale riguarda direttamente
la natura, che, infestata dal peccato del primo padre, infetta
la persona dei
figli" (ibid., c. 196).
Come sia possibile che il
peccato dei progenitori sia propagato a tutti i posteri S. Tommaso lo spiega in
modo sufficientemente chiaro e credibile riflettendo che Adamo, quale capo
della famiglia umana, non ha potuto non rendere questa "virtualmente"
partecipe del suo atto di rivolta. Tutti gli uomini fanno con lui come una
sola persona: come tutti, quanto alla natura, erano potenzialmente precontenuti in lui
quale prima origine della vita; così la volontà di tutti era in certo senso
moralmente inclusa e operante nella sua. In altri termini: tutti gli uomini, se
non sono responsabili della privazione della giustizia originale per propria
volontà personale, lo sono per quella del Capostipite che li rappresenta
davanti a Dio. Perciò, alla continuità
fisica dovuta
al processo generativo da cui dipende l’unità della specie, è associata la continuità
morale dovuta
alla solidarietà che salda tutti gli individui umani con Adamo, come
altrettante membra al loro comune capo.
Le conseguenze del peccato
originale toccano direttamente e immediatamente i due elementi costitutivi
della "giustizia originale": viene meno la sottomissione dell’uomo a
Dio e allo stesso tempo viene meno anche la sotto- missione delle creature inferiori
all’uomo, nonché la sottomissione del corpo all’anima, delle passioni alla
volontà. Questo disordine non ha luogo soltanto nei progenitori ma anche in
tutti i loro discendenti, in quanto essi vengono alla luce in uno stato che non
è quello che Dio aveva previsto per loro, lo stato di elevazione all’ordine
soprannaturale.
"L’integrità così ben ordinata dei nostri
padri era tutta causata dalla soggezione dell’umana volontà a Dio: perciò,
sottratta l’umana volontà alla soggezione divina, ebbe fine necessariamente
quella perfetta soggezione delle inferiori forze alla
ragione e del
corpo all’anima. Per conseguenza l’uomo sentì nell’inferiore appetito sensibile
i moti disordinati della concupiscenza e dell’ira e delle altre passioni: non
più secondo l’ordine della ragione, ma a essa ribelli, fonti di obnubilamento e
di turbamento. Quest’è la ripugnanza della carne verso lo spirito, di cui parla
la Scrittura. Infatti poiché l’appetito sensitivo, come anche le altre forze
sensitive, opera per mezzo d’organi corporei, mentre la ragione opera senza nessun organo corporeo, convenientemente si imputa alla carne ciò che appartiene alla ragione. come si usa chiamare
sostanze spirituali quelle che sono
separate dai corpi. Ne seguì che il corpo sentisse i difetti della corruzione e
che perciò l’uomo incorresse nella necessità di
morire, non avendo più la forza di mantenere in perpetuo il corpo animato col
dargli la
vita. L’uomo divenne dunque passibile e mortale: non solo potendo patire e
morire come prima, ma avendo quasi la necessità di patire e morire"(ibid., cc. 192-193).
A coloro che obiettano che non pare giusto
che i discendenti di Adamo vengano puniti per una colpa che non hanno commesso S. Tommaso
replica che "al genere umano era stato attribuito da Dio nel primo padre il
bene della
giustizia originale in modo che fosse trasmessa ai posteri. Privato di questo bene il
primo uomo per propria colpa, dovettero pure esserne privati tutti i
discendenti, i quali dopo il peccato del prima padre nacquero tutti senza giustizia originale e
coi difetti che ne derivano. Né questo è contro l’ordine della giustizia, quasi
che Dio punisca nei figli la colpa del primo padre: perché questa pena non è
altro che la sottrazione di quello che soprannaturalmente fu concesso da Dio al primo uomo e
che per mezzo del primo uomo doveva derivare ad altri. Agli altri pertanto ciò
non era dovuto, se non come eredità del primo padre. Se un sovrano desse ad un
soldato un feudo da trasmettere poi in eredità agli eredi, e se il soldato mancasse contro il sovrano in
modo da perdere il feudo,
anche gli eredi ne sarebbero giustamente privati" (ibid., c. 195).
S. Tommaso
precisa che, pure indebolita spiritualmente, moralmente e fisicamente, la natura
umana conserva tuttavia una certa integrità ontologica, tale da salvaguardare
la sua dignità di persona. Anche dopo il peccato l’uomo rimane sempre uomo e
non viene ridotto a una bestia oppure a un pezzo di legno. Infatti egli è
ancora in grado di compiere quelle azioni che sono proprie dell’uomo: può
ancora pensare, volere, lavorare, scrivere, dipingere, produrre opere
artistiche e letterarie, coltivare la terra ecc. (I-II, q. 109, a. 2).
Sulla base di queste affermazioni qualcuno ha
accusato S. Tommaso di ingiustificato "ottimismo" nei confronti della
"natura corrotta". Ma se si fa bene attenzione, per quanto concerne
il fine ultimo (la realizzazione dell’imago
Dei in sé stessi) S. Tommaso non si fa mai prendere la mano
dall’ottimismo. Egli non cessa di ripetere che dopo il peccato originale l’uomo
è totalmente impotente rispetto al
fine ultimo: non ha nessuna possibilità di conseguire quelle virtù
"teologali " (fede, speranza, carità) necessarie alla salvezza;
tutt’al più riuscirà a evitare gravi peccati per qualche breve periodo, ma
non alla lunga, e resisterà a questo o a quel peccato, in questo o in quel caso
dimostrando appunto la propria responsabilità, non essendo però in grado di
eludere le tentazioni di commettere nuovi e più gravi peccati (C. G., III, cc. 159-160).
Lo strumento della trasmissione del peccato
rimane anche per S. Tommaso, come già per Agostino, la generazione. Ora poiché, secondo la
genetica del suo tempo, che era quella di Aristotele, principio
attivo della generazione è l’uomo, mentre la donna funge da principio passivo,
l’Aquinate assegna esclusivamente al seme maschile la trasmissione del peccato
originale. Per lui questa è una verità talmente
ovvia che, nell’eventualità che avesse peccato solo Eva, non ci sarebbe stata
nessuna trasmissione del suo peccato. Infatti "secondo la dottrina del
naturalisti, nella generazione il principio attivo deriva dal padre, mentre la
madre somministra la materia. Perciò il peccato originale non si contrae dalla
madre ma dal padre. E quindi, se Eva soltanto avesse peccato, e non Adamo, i figli non avrebbero
contratto il peccato originale. Se invece avesse peccato Adamo, e non Eva,
l’avrebbero contratto" (I-II, q. 81, a. 5).
Nelle sue linee essenziali ha formulazione
tomistica della dottrina del peccato originale è apparsa così perfetta da
passare, attraverso il Concilio di Trento che l’ha fatta sua, nella tradizione
comune dei teologi cattolici. E' una formulazione molto "moderna"
anche nel linguaggio oltre che nei concetti. Quanto ai concetti l’essenza del
peccato originale non viene fatta consistere nella violazione di qualche legge
particolare o nella soddisfazione di qualche piacere della carne, ma in un
atteggiamento di fondo dell’uomo di fronte a Dio, un atteggiamento di
indipendenza, di autonomia, di "volontà di potenza": una "volontà
disordinata" (disordinata
voluntas) che avanza la pretesa di costruirsi un progetto di umanità
(e quindi di felicità e di salvezza) senza Dio, anzi, contro il suo volere. Gli
effetti nefasti del peccato originale sconvolgono tutto l’ordine dell’universo:
causano una lacerazione interiore della persona nei suoi rapporti con Dio, una
lacerazione psichica nei rapporti tra facoltà sensitive e facoltà intellettive,
e causano inoltre una lacerazione esteriore dei rapporti col prossimo e con il
mondo della natura.
C’è un solo neo nella formulazione tomistica:
l’assegnazione esclusiva della trasmissione del peccato originale al maschio,
in quanto principio attivo della generazione. Purtroppo questo è il tributo che
S. Tommaso ha pagato alle cognizioni scientifiche del suo tempo e a una cultura
marcatamente maschilistica, allora imperante, nella Chiesa e nella società
civile.
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Battista Mondin.
Dizionario enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna.