Passione
In generale significa una inclinazione veemente, un sentimento
forte, una pulsione prepotente, difficilmente controllabile. Nonostante una
certa connotazione negativa, la passione può essere sia buona sia cattiva: è
buona se è volta a uno scopo, un obiettivo moralmente buono; è cattiva in caso
contrario. Le passione cattive si trasformano in vizi; mentre quelle buone
diventano virtù. Le passione sono state argomento di studio di moltissimi filosofi,
in particolare di Platone, Aristotele, Tommaso d’Aquino, Cartesio, Spinoza, Hume,
Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, i quali hanno modi diversi di definirle,
classificarle e valutarle.
Aristotele
nella Metafisica (1022b) distingue
quattro sensi di pathos, dei
quali però nessuno si addice al caso delle passione dell’anima. Queste
vengono invece definite altrove come "alterazioni connesse alla dimensione
organica". In seguito questo concetto viene ripreso dalla patristica e
dalla scolastica. Nella Summa
Theologiae e anche in altre opere S. Tommaso riserva ampio spazio allo
studio delle passione Egli distingue tre significati del termine passio: comune, proprio e traslato.
Nel significato comune vuol dire subire, ricevere (receptio); in quello proprio significa alterazione
(vale a dire cambiamento qualitativo) e in quello traslato, impedimento. Fatte
queste precisazioni risolve la questione se e in che senso si possa parlare di
passione dell’anima.
"Nel
senso comune la passione si trova nell’anima, come del resto in qualsiasi creatura,
in quanto ogni creatura ha in se stessa qualche cosa di potenziale e per questa
ragione ogni creatura esistente è recettiva di qualche cosa. Secondo il senso
proprio la passione Si trova soltanto là dove c’è movimento e contrarietà. Ora
il movimento si trova soltanto nei corpi, e le contrarietà delle forme e delle
qualità soltanto nelle cose generabili e corruttibili. Perciò soltanto di
queste cose si può dire che patiscono. E quindi l’anima non si può dire che
patisce in questo modo: e anche se riceve qualche cosa ciò non avviene mediante
trasmutazione da un contrario all’altro ma soltanto a causa dell’influsso
dell’agente, allo stesso modo che l’aria viene illuminata dal sole. Infine,
secondo il senso traslato, la passione può essere detta anche dell’anima: essa
patisce in quanto la sua operazione viene impedita" (De Ver., q. 26, a. 1). Propriamente
quindi anche per S. Tommaso come per Aristotele le passioni sono movimenti
(alterazioni) dell’appetito sensitivo. Da qui egli trae anche la sua divisione
delle passione
Poiché
l’appetito sensitivo è di due tipi: concupiscibile e irascibile, le passione si
dividono in due grandi gruppi, ciascuno dei quali comprende sei passioni
fondamentali. Nel gruppo dell’appetito concupiscibile abbiamo: amore,
desiderio e piacere che sono pulsioni verso un bene prospettato; odio, fuga e
tristezza che sono reazioni di fronte a mali incombenti ma a cui ci si può
sottrarre agevolmente. Nel gruppo dell’appetito irascibile abbiamo: speranza,
audacia e ira, che sono disposizioni verso un bene di difficile conseguimento;
disperazione, angoscia e accidia che sono reazioni verso un male a cui si può
difficilmente sfuggire (I-II, q. 23, a. 4).
Gran parte dell’impegno morale dell’uomo sta nel dominare le proprie
passione e nel convogliare queste possenti ma pericolose energie psichiche
verso il bene. Le virtù morali che S. Tommaso studia con tanta finezza nella Seconda
Parte della Summa sono
essenzialmente moti dell’appetito sensitivo (cioè le passioni) indirizzati
abitualmente al bene.
Purtroppo,
dopo il peccato originale tale operazione, di indirizzare cioè le passioni al
bene e trasformarle in virtù è diventata cosa assai ardua e laboriosa. Infatti,
in conseguenza del peccato originale "tutte le energie dell’anima
restano in qualche modo private del loro ordine, che le orienta in modo
naturale alla virtù: e tale privazione è detta una ferita della natura. Quattro
sono le potenze dell’anima che possono essere soggetto di virtù, vale a dire:
la ragione in cui risiede
la prudenza; la volontà in cui risiede la giustizia; l’irascibilità (l’appetito irascibile), in cui
risiede la fortezza; e la capacità
di bramare (l’appetito
concupiscibile), in cui risiede la temperanza. In quanto perciò la ragione
viene privata del suo ordine al vero, si ha la ferita dell’ignoranza; in quanto
la volontà viene privata del suo ordine al bene, si ha la ferita della malizia;
in quanto l’irascibilità viene privata del suo ordine all’arduo, si ha la
ferita della debolezza; e in quanto la capacità di bramare viene privata del
suo ordine al dilettevole moderato dalla ragione, si ha la ferita della
concupiscenza" (I-II, q. 85, a.
3). In
particolare, dopo il peccato originale le passione dell’appetito sensitivo
tendono a seguire i propri impulsi e a sottrarsi all’impero della volontà.
Però, osserva S. Tommaso, le passione dell’appetito sensitivo non
agiscono direttamente sulla volontà, perché essa è una facoltà immateriale dell’anima, ma agiscono
indirettamente e ciò in due
modi: distraendola o impedendo il retto giudizio della ragione. La volontà
tende sempre a ciò che è bene o che la ragione le presenta come bene; ma la
ragione può essere sopraffatta dalla passione, la quale o distrae o contraria
la ragione o commuove e conturba l’organismo, al punto che taluno per
ira o per amore può anche impazzire (I-II, q. 77, aa. 1-2).
Quanto alla moralità degli atti compiuti sotto l’impulso della
passione, S. Tommaso distingue se la passione precede l’intervento della
volontà oppure lo segue. Nel primo caso, quando cioè precede la volontà e
quindi l’atto è causato esclusivamente dalla passione, poiché l’atto non è
libero, può anche non essere affatto peccaminoso e, quanto meno, il peccato è
reso meno grave dalla passione. Nel secondo caso, quando la passione è
conseguente all’atto volontario, il peccato non viene affatto sminuito ma
piuttosto aggravato. In altre parole, le passione quando tolgono l’uso della
ragione, scusano dal peccato, purché però non siano volontarie. Tuttavia, il
peccato, anche nel caso che provenga dalle passione, può essere mortale se la
ragione potendo e dovendo non resiste a tempo alla passione (I-II, q. 77, aa.
6-8; De Ver., q. 26, aa. 7-8).
(Vedi: ATTO UMANO, ARBITRIO, ETICA)
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Battista Mondin.
Dizionario enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna.