Articolo 4: LA MORALITÀ DEGLI ATTI
UMANI
[1749] La libertà fa dell’uomo un soggetto morale. Quando
agisce liberamente, l’uomo è, per così dire, il padre dei propri atti. Gli atti umani, cioè gli atti liberamente
scelti in base ad un giudizio di coscienza, sono moralmente qualificabili. Essi
sono buoni o cattivi.
II. Gli atti buoni e gli atti cattivi
[1755] L’atto moralmente buono suppone, ad un tempo, la bontà
dell’oggetto, del fine e delle circostanze. Un fine cattivo corrompe l’azione,
anche se il suo oggetto, in sé, è buono (come il pregare e il digiunare «per
essere visti dagli uomini»: Mt 6,5).
L’oggetto della scelta può da solo viziare tutta
un’azione. Ci sono dei comportamenti concreti - come la fornicazione - che è
sempre sbagliato scegliere, perché la loro scelta comporta un disordine della
volontà, cioè un male morale.
[1756] È
quindi sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando soltanto
l’intenzione che li ispira, o le circostanze (ambiente, pressione sociale,
costrizione o necessità di agire, ecc) che ne costituiscono la cornice. Ci sono
atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e
dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto;
tali la bestemmia e lo spergiuro, l’omicidio e l’adulterio. Non è lecito
compiere il male perché ne derivi un bene.