IL
MATRIMONIO, REALTA’ NATURALE
È possibile stabilire un significativo parallelismo tra la situazione della
famiglia e quella dei diritti umani nel mondo contemporaneo. È possibile anche
osservare ‑ come avviene nel caso dei diritti dell'uomo ‑ una sempre
più profonda presa di coscienza dell'importanza della famiglia. Allo stesso
tempo, però, in virtù di un inquietante paradosso, proprio la famiglia e i
diritti umani sono oggetto oggigiorno di costanti e gravi violazioni. In
nessun'altra epoca, infatti, si è avuta l'attuale sovrabbondanza di
bibliografia messa a disposizione dalle diverse scienze riguardo alle
alternative familiari proposte dalle grandi ideologie filosofico‑politiche,
dalla saggistica, dalla letteratura "di massa", dalle politiche demografiche
degli Stati e degli organismi internazionali, dai movimenti associativi e
rivendicativi in materia sessuale, matrimoniale e famigliare, dalle nuove leggi
del "diritto di famiglia", prodotto dei più diversi orientamenti
ideologici; per non parlare poi della realtà concreta, nella quale coesistono
le più eterogenee condotte matrimoniali e di esercizio della sessualità.
Tuttavia, questo imponente dispendio di energie alla ricerca della migliore
formula di famiglia coincide, nella nostra epoca, con una degradazione non meno
imponente di quegli indici di qualità umana nella convivenza sociale che più
direttamente sono in relazione con il buon esito o il fallimento delle
strutture famigliari. Ne sono esempi la diminuzione dei matrimoni contratti e
della natalità, l'incremento della contraccezione, dell'aborto legalizzato e
clandestino, delle rotture matrimoniali di fatto e di diritto, del numero di
bambini abbandonati e maltrattati, del suicidio infantile e giovanile, del
tasso eziologico famigliare di psicopatie infantili e adolescenziali; e ancora,
della delinquenza, droga e alcolismo giovanile, dell'indice di delitti
sessuali, del tasso di invecchiamento della popolazione, delle soluzioni
extrafamigliari per la cura dell'infanzia o della terza età, dell'interesse per
l'eutanasia, e di altro ancora. (…)
Un errore di fondo
Perché vi sono risultati così scoraggianti proprio là dove il nostro secolo ha dedicato così intensi e numerosi sforzi per migliorare le relazioni coniugali e per ricercare più valide alternative matrimoniali e famigliari? Non esiste forse un generale consenso sul fatto che le relazioni all'interno della coppia umana e tra genitori e figli debbano essere più profonde, più autentiche e più personali? Chi non invoca l'amore e la libertà come valori umani che devono essere contenuti nei vincoli tra uomo e donna cosi come tra consanguinei? Perché, dunque, questo paradosso?
[...] Per analizzare
l'attuale crisi della famiglia è consigliabile porsi in una prudente
prospettiva che ci eviti di rimanere vittime delle apparenze. La crisi di cui
parliamo non è tanto una crisi di assenza di desiderio di ideali; essa è
piuttosto provocata da un radicale errore alla base stessa dalla quale si parte
per perseguire quegli ideali di miglioramento della coppia umana. E questo
errore di fondo conduce all'adozione delle più diverse pratiche sessuali,
matrimoniali e famigliari, alla produzione di controvalori, all'impoverimento
dei legami umani e a una permanente consapevolezza di frustrazione. [...1
La posta in gioco
Il naturale
fondamento della famiglia è il matrimonio, e la radice del matrimonio
è la natura personale dell'essere umano (uomo e donna). La perdita
dell'identità dell'essere personale dell'uomo (nella sua mascolinità e
femminilità) è la causa ultima della perdita d'identità del matrimonio; questa,
a sua volta, è la ragione principale della perdita d'identità della famiglia in
quanto cellula naturale e basilare di ogni società autenticamente umana. Ciò
che è in gioco, in questa situazione di crisi della famiglia alle soglie del
XXI secolo, è la falsificazione o il riscatto della natura
"personale" dell'uomo, l'alienazione o la salvaguardia della sua
condizione e della sua dignità di persona umana, unica e irripetibile, libera e
responsabile dei propri atti. Da come verrà considerata la natura della persona
umana ‑ uomo e donna dipende come lo saranno quella del matrimonio e
quella della famiglia. E, di conseguenza, avremo una certa società e un certo
uomo. La perdita o il recupero dell'autentica natura della persona umana è il
nocciolo, la radice della crisi del matrimonio e della famiglia nel mondo
contemporaneo. Ricostruire il matrimonio e la famiglia e, di conseguenza, la
società intera, alla luce delle esigenze della dignità personale dell'uomo: questa è la sfida che ci attende.
Matrimonio
reale e apparenza legale
Prima di passare a esaminare la natura dell'alleanza matrimoniale ‑ o patto coniugale (il "si" pronunziato dai contraenti) ‑, è necessario sfatare il mito della "cerimonia" e della "legalità". Molte persone sono convinte che l'unica differenza intercorrente tra l'unione di fatto tra uomo e donna e il matrimonio consista nella celebrazione di quest'ultimo mediante i requisiti di forma e di solennità prescritti dalle leggi vigenti e nella sua registrazione ufficiale; una cerimonia legale e una registrazione che, invece, non si sono svolte nel caso dell'unione di fatto. Non ci sarebbero sostanziali differenze tra le due situazioni nella natura delle relazioni "maritali". La differenza consisterebbe nella celebrazione legale e nella conseguente registrazione. Il primo caso si troverebbe al margine dei diritto per mancanza di celebrazione legale; il secondo, invece, sarebbe "matrimonio" proprio perché la celebrazione formale lo renderebbe una realtà legale e ufficiale. Il matrimonio, quindi, sarebbe il modo legale per "sistemare le cose" tra un uomo e una donna; tutte le altre modalità sarebbero extralegali. Il matrimonio, per concludere, non sarebbe altro che un rapporto di coppia legalizzato.
Formalismo e legalità
sono oggi come due grandi cortine fumogene che rendono particolarmente
difficile la percezione della vera natura del patto coniugale. È, pertanto,
molto importante cogliere il nucleo essenziale di ciò che veramente interessa:
il "si" dei contraenti. Infatti, ciò che rende matrimoniale quell'assenso
non sono i formalismi legali, ma il contenuto reale e naturale dell'intenzione
che l'uomo e la donna hanno al momento di unirsi tra loro. [...]
Legalità
& natura
Mi sembra che siano assai pochi i genitori e i figli che, per sapere esattamente che cosa significhi essere genitori o figli, ricorrono al Codice civile. La paternità, la filiazione, la famiglia, sono infatti, prima di tutto, realtà naturali. È per questo motivo che un buon padre di famiglia e un buon figlio si manifestano per ciò che sono e riescono a vivere appieno i legami che li uniscono più per effetto della pratica di fondamentali virtù umane (generosità, lealtà, giustizia, e così via) e di un profondo e intenso affetto reciproco, che come conseguenza di determinati titoli legali (stato di famiglia, iscrizione all'anagrafe, assegni famigliari, eccetera). La stragrande maggioranza delle persone distingue facilmente, quasi senza rendersene conto, la realtà naturale della famiglia da quell'altro aspetto che potremmo chiamare ‑ per capirci meglio ‑ di burocrazia che l'esistenza di una famiglia inevitabilmente comporta.
Tanta chiarezza di
idee non è frequente, invece, quando si tratta del matrimonio. Le formalità
burocratiche previe alla celebrazione, o la forma esterna e la solennità che
accompagnano il preciso istante in cui si contrae il matrimonio, oppure l'idea ‑
molto diffusa ‑ che i fidanzati inseriscano la loro vicenda sentimentale
in alvei legali ben determinati senza i quali non potrebbero
"sposarsi" e convertire la loro unione in "matrimonio", o
ancora la sensazione che per potersi sposare bisogna cozzare per forza di cose
contro il diritto e adattarsi a ciò che esso prescrive in modo imperativo,
possono finire per creare la convinzione ‑ abbastanza diffusa ‑ che
il matrimonio è prima di tutto una realtà legale, una struttura prevista dalla
legge per legalizzare le relazioni di coppia, nient'altro quindi che un
prodotto giuridico: in definitiva, "qualcosa" che si sovrappone alla
storia sentimentale dei contraenti, la quale, grazie alla legge, si trasforma
in "matrimonio".
Ponendosi in
quest'ottica, avviene spesso che molte persone pensino che chi "li
sposa" è il parroco, o il funzionario del Comune, o, comunque, il diritto;
e che quegli stessi personaggi ed elementi possano "sciogliere", se
necessario, il loro matrimonio. Tende, allora, a sfumarsi il significato del
matrimonio come realtà interpersonale e naturale tra i contraenti, per venire
assimilato a una realtà legale formalistica e burocratica. Quando questo
avviene, si è perso il senso più reale e naturale del vero matrimonio.
Prima che realtà
legale di diritto positivo, il matrimonio e il diritto a sposarsi sono realtà
naturali consustanziali alla stessa natura umana, che ne fissa l'essenza e le
linee maestre. Soltanto in un secondo momento il legislatore può intervenire
per regolare l'esercizio del "diritto a sposarsi"; cosa che implica
la necessità di una normativa, cioè il "diritto matrimoniale". È
chiaro, però, che innanzitutto il matrimonio, in quanto unione di persone, non
è un fenomeno legale, bensì una realtà naturale che precede la realtà legale. Quando il legislatore interviene per regolare questa realtà
naturale e garantirne un esercizio ordinato, non deve alterarla, sostituendola
con un artificio legale, cosi come non deve neppure modificare mediante le
leggi quelle che sono le sue caratteristiche "per esigenze di natura".
Vere e false
unioni
È ovvio che un determinato sistema matrimoniale non mancano esempi nel passato e ai giorni nostri ‑ può andare aldilà delle sue competenze, chiamando "matrimonio" l'unione di un uomo e di una donna che vogliono utilizzare la cerimonia del matrimonio soltanto, ad esempio, per ottenere la nazionalità di un certo Paese o come mezzo per poter emigrare; può ottenere la qualifica legale di "matrimonio" anche una unione voluta dai contraenti esclusivamente a fini ereditari, rifiutando esplicitamente tutti gli altri fini oggettivi del matrimonio; così come può ottenerla anche una unione passeggera, per uno o due anni, o una unione in cui si rifiuti qualunque apertura alla procreazione, incluso il proposito di abortire, se fosse necessario, e anche l'infanticidio; oppure anche una unione contratta per le forti pressioni delle famiglie che coartano la legittima libertà dei contraenti; oppure, infine ‑ per segnalare un esempio limite ‑, una unione tra omosessuali.
Se ci è chiara la
distinzione tra realtà naturale e realtà legale, così come il primato del
"naturale" sul "legale", ci renderemo conto che i
precedenti esempi non sono altro che casi di "matrimoni legali" in
cui non si dà matrimonio naturale. Infatti, per quanto due omosessuali abbiano
tra le mani un certificato di matrimonio, non esiste tra di loro, né potrà mai
esistere, la realtà naturale del matrimonio. In questo caso si applica a
pennello il detto popolare: «Benché di seta la scimmia si vesta, scimmia essa
resta». Il desiderio (che a volte si traduce in campagne per orientare
l'opinione pubblica) di nascondere sotto il nome legale di
"matrimonio" delle relazioni che, nell'ordine naturale, non possono
essere considerate tali, altro non è se non il tributo che l'errore si vede
obbligato a rendere alla verità: camuffarsi ipocritamente con i suoi panni.
Chi agisce cosi non è comunque in grado di cambiare la realtà naturale delle
cose, cosi come neppure può farlo il legislatore che gli desse ragione. [...]
Quando si verifica questo andare aldilà delle proprie competenze, in un
qualunque modo, ma soprattutto se si alterano 1"'uno con una"e il
"per sempre", accade che la realtà naturale del matrimonio viene
sostituita da una situazione esclusivamente legale. Nei sistemi in cui ciò
accade il termine "matrimonio" acquista un significato ampio e
ambiguo che include relazioni molto diverse tra loro e aventi contenuto
"maritale" a tal punto differente e contraddittorio da costituire una
vera e propria Babele, in cui l'unico punto in comune sarebbe dato dalle
identiche formalità legali della celebrazione. In questo modo il matrimonio,
inteso esclusivamente come situazione legale, finisce per confondersi con
semplici forme di celebrazione e con lo stato di legalità che da esse deriva, e quindi tende a diventare una pura forma,
suscettibile di accogliere qualunque contenuto.
L'agonia del
matrimonio "legale"
Questo fenomeno di "svuotamento" del matrimonio, generalizzato nell'attuale panorama giuridico, assume contorni ancor più preoccupanti negli ordinamenti divorzisti. Infatti, quanto più un ordinamento è divorzista, tanto minore è l'interesse dei contraenti e del legislatore ad assicurarsi che il consenso sia veramente pieno e totale. E il motivo è che, autentico o no, il "si" non produce un effetto di indissolubilità, visto che si ammette la dissoluzione del matrimonio per mezzo del divorzio, indipendentemente dalla patologia del patto. Un sistema divorzista, pertanto, produce tre grandi lacerazioni:
a) Da un lato,
favorisce una progressiva banalizzazione del consenso (un "si" che si
possa ritrattare perde valore).
b) Dall'altro, agevola la diffusione dell'idea che "sposarsi" sia un
atto di conformismo sociale, un "passare allo sportello della
burocrazia" per ottenere il permesso, il documento che consente di avere
relazioni sessuali e figli senza danno della "onorabilità sociale",
nell'ambito cioè della legalità.
c) Infine, crea
ambiguità perché finisce per dare indiscriminatamente la qualifica di
"matrimonio" a tutta una serie di unioni, molto diverse e a volte
contrapposte tra loro, che poco hanno a che vedere con il significato naturale
dell'unione sponsale. [...]
Il termine "matrimonio" si trasforma quindi in una parola il cui
principale significato è quello di "formalità legale e sociale dovuta alle
convenzioni" e priva di un contenuto preciso, concreto e univoco. Si
tratta di una vera e propria "agonia dello sposalizio legale", cui
tuttavia è ancora possibile porre rimedio facendo recuperare prestigio al
valore del matrimonio naturale.
La reazione di molti che non vogliono adulterare l'autenticità della loro
storia sentimentale facendola passare attraverso la formalità sociale, legale e
convenzionale del matrimonio trova, da questo punto di vista, una profonda e
seria giustificazione.
È vero, però, che il
matrimonio, nel suo effettivo significato di realtà naturale, non consiste in
tale ambigua e onnicomprensiva formalità legale. Non è meno certo, però, che
per una gran parte dei nostri contemporanei il matrimonio si è convertito in
puro documento legale o in una formalità sociale richiesta dallo status di
"onorabilità". E se la nozione di "matrimonio" si è ridotta
a questo, chiunque abbia un minimo di autenticità, di sensibilità e di
anticonformismo nei confronti dei convenzionalismi ipocriti e vuoti, penserà ‑
soprattutto se da questo tipo di "matrimonio" si può fare marcia
indietro con il divorzio ‑: "Perché bisogna sposarsi?". Chi ha
dato al legislatore, al funzionario del comune, al potere, l'autorità per
decidere una volta che sia accolta questa concezione formalistica e divorzista
del "matrimonio" ‑che sono "socialmente accettabili"
soltanto le unioni che non si rifiutano di affrontare le formalità
burocratiche? Che reale differenza esiste tra una relazione di coppia accettata
"finché non ci stanchiamo l'uno dell'altra" e che sia stata
sottoposta all'ufficio comunale per essere "legalizzata" rispetto a
un'altra esattamente uguale, nella quale però i soggetti in questione reputano
superfluo chiedere al funzionario del comune il permesso per vivere il loro
legame? Se dal punto di vista del contenuto ‑ "fino a che non ci
stanchiamo l'uno dell'altra" ‑ le due relazioni sono identiche, non
è forse dimostrazione di conformismo, superficialità e ipocrisia sollecitare
una "legalizzazione" e credere che con un pezzo di carta in mano la
relazione stessa si sia trasformata in qualcosa di sostanzialmente diverso da
quell'altra relazione, identica ma vissuta dai
soggetti interessati al margine della legge?
Che cosa
significa sposarsi?
Una volta messi in guardia nei confronti del mito della cerimonia legale, dobbiamo ritornare a considerare la connessione tra amore coniugale e alleanza matrimoniale. Che cosa trasforma l'amore tra uomo e donna in amore tra sposo e sposa? Cos'è l'alleanza, o "patto matrimoniale"? Cosa aggiunge all'amore coniugale? Esaminiamo insieme alcuni punti.
a) La tendenza alla
"comunità coniugale". L'amore tra uomo e donna facilita l'unione
personale; tende cioè a far si che uomo e donna siano una unità nell'aspetto
"coniugabile" ‑ mascolinità e femminilità ‑ delle loro
nature. La dinamica naturale dell'amore tra uomo e donna è questo tendere
verso l'unione. Tanto più l'amore è pieno e totale, tanto meno si soddisfa con
un incontro passeggero, e tanto più, al contrario, induce coloro che si amano a
unire i loro destini, a vivere insieme. Facciamo attenzione al fatto che tale
tendenza naturale inizialmente è soltanto questo: una tendenza o, se si
preferisce, un "invito a". Coloro che si amano sono desiderosi di
stare insieme, completamente uniti tra loro. Una cosa, però, è questo invito
all'unione definitiva ‑inclinazione naturale all'amore tra uomo e donna ‑
e un'altra ben diversa è l'essere "comunità coniugale", cioè essere
marito e moglie. Quest'ultimo tipo di unione non nasce per generazione
spontanea, senza che i due protagonisti se ne rendano conto. Poiché l'unione
personale implica donarsi all'altro, e non semplicemente avere con esso una
relazione, tale donazione deve essere decisa dalla volontà di coloro che si
amano; in caso contrario, non si produce affatto. Se l'inclinazione a unirsi
non viene assunta da entrambi mediante una decisione della volontà, essa rimane
un semplice invito e l'unione non può aver luogo. E questo perché le persone
non possono essere unite tra loro senza che lo vogliano con un atto di volontà
esplicito. Sentire il desiderio della comunione totale e decidersi a viverla
in concreto sono, quindi, due pagine sostanzialmente diverse del diario dì ogni
storia sentimentale. È necessario, perciò, distinguere la decisione che dà vita
all'unione matrimoniale ‑ definitiva ‑ da qualunque altro atto
d'amore passato o futuro che ci sia stato o ci sarà tra un uomo e una donna.
b) La decisione di
volersi amare. Questa decisione fondazionale è una pietra miliare nuova,
originale e irripetibile tra tutti gli atti d'amore di una vicenda "a
due", perché ha per oggetto una realtà anch'essa nuova, originale e
irripetibile: un atto di volontà, che trasforma l'amore in un impegno. Gli
"amanti" sono coloro che si amano; gli "sposi", coloro che,
in più, si sono impegnati ad amarsi.
c) L'amore come impegno.
Fissiamo per un momento la nostra attenzione su uno straordinario aspetto
dell'impegno. Coloro che, poiché si amano, vogliono e decidono di amarsi,
prendono una decisione riguardo al futuro. È vero che l'uomo è un essere che
non "è" (presente) tutto ciò che "può essere" (futuro) in
un unico atto esistenziale; per realizzare tutto ciò che può essere, egli ha
bisogno di fare esperienza, e questo richiede "tempo": il tempo della
vita dì ciascuno. Ma è anche vero che l'uomo può far dono di tutto ciò che in
futuro "potrà essere", e può donare tutto il suo futuro in un atto
del presente, con una decisione hic et
nunc. La sua volontà è tale che gli permette di trasformare l'estensione in
intensità.
La dimensione più
profonda e grande della libertà dell'uomo è che, essendo libero (cioè padrone
di sé stesso), può, con una decisione della volontà, dare oggi tutto il suo
futuro a un'altra persona.
Impegnarsi è questo:
decidere liberamente di donarsi. L'impegno, pertanto, è sempre un atto di
donazione del proprio futuro e un atto supremo di libertà, perché soltanto chi
è padrone di sé può decidere di darsi. Con questo atto volontario l'uomo decide
oggi di essere in futuro cosi come si è impegnato a essere. In questo, l'uomo è
e può essere ciò che vuole essere. Non abbandona il suo futuro al caso, alle
circostanze, a forze sconosciute; non permette che altri siano protagonisti
della sua vita. Attrae a sé il futuro ‑ ciò che non è ancora avvenuto ‑,
lo trasforma in dominio della sua volontà libera, e decide hic et nunc che prenda una determinata direzione. Decide, quindi, di essere padrone del proprio destino. Chi non sa
impegnarsi, non sa vivere la propria vita nella più
profonda dimensione della sua natura di persona umana.
Eccoci, dunque, all'impegno coniugale: uomo e donna prendono
oggi la comune decisione di donarsi reciprocamente tutto quanto il loro
"essere" e tutto quanto il loro "poter
essere", rispettivamente come mascolinità e femminilità; impegnano il loro
amore coniugale totale (presente e futuro) o, se si preferisce, si
costituiscono in unione personale totale.
Questa decisione, essendo un impegno presente che riguarda tutto il futuro,
deve essere pienamente libera. Infatti, quanto più grande è l'impegno, tanto
maggiore deve essere la libertà di chi si impegna.
d) Amore, libertà e
futuro. Siamo giunti a considerare il punto fondamentale: il momento in cui si
mette in gioco la libertà nel rapporto tra due persone. Uomo e donna,
nonostante si amino, sono liberi di non impegnare il loro amore per
trasformarlo in "amore impegnato". Possono
non essere completamente convinti del loro compagno, o possono non essere
entusiasti dell'idea di impegnarsi in una comunità
che li unirà completamente; la loro storia di amore vicendevole può soffrire
qualunque peripezia, portandoli anche a lasciarsi in un momento cruciale della
vita. Una serie di intrusi ‑ lo Stato, le
convenienze sociali, i famigliari, ... ‑ possono voler interferire nella
possibilità che i due soggetti interessati hanno di impegnarsi, con
l'intenzione di impedirlo o di imporlo. Conviene, perciò, tener presente che è
proprio qui che entra in gioco la libertà dell'amore coniugale. Soltanto coloro
che si amano, e nessun altro, sono protagonisti dell'impegno che li rende sposi;
nessuno può obbligarli in un senso o in un altro. La decisione spetta solo a
loro. Se non c'è libertà piena, non c'è autentico
impegno, e neppure esiste unione personale vera, nonostante le eventuali
apparenze. Il momento della libertà (intesa come immunità da coercizione e come
sovrana disposizione di sé nella donazione all'altro) ha come punto centrale
il momento in cui si instaura l'unione personale. Ciò
significa che la libertà ha un suo momento, un suo
luogo dì esercizio. Significa anche che, una volta esercitata la libertà, tutti
gli altri momenti non devono venire osservati
nell'ottica di una libertà non ancora esercitata, ma nella prospettiva del
compimento dell'impegno assunto per tutta la vita. Infatti, quando un uomo e
una donna assumono liberamente, per mezzo di questa decisione fondazionale, l'impegno non solo di continuare ad amarsi
come hanno fatto fino a quel momento, ma anche di essere una comunità di tipo
coniugale, l'unione personale viene instaurata, e si
può dire che la libertà di instaurarla o meno è già stata esercitata. Tutto ciò
perché la libertà non consiste nella sua indeterminata conservazione, nel
mantenersi nella situazione di chi si astiene dall'assumere qualunque tipo di impegno; essere liberi non significa evitare di prendere
qualunque decisione. Bisogna riconoscere che spesso le persone rifuggono
qualsiasi impegno, credendo di mantenersi libere nella misura in cui si astengono dal mettere in gioco la propria libertà.
Questo atteggiamento, in apparenza "libero”, paradossalmente rende
schiavi della paura di impegnarsi e rende incostanti e incoerenti. Chi ha paura
di "darsi" ‑ sintomo di non essere padroni di sé e del proprio
futuro ‑ corre il rischio di diventare schiavo delle proprie passioni. È
ovvio che uomo e donna sono liberi di non impegnarsi mai. In tal caso però la
libertà, per uno strano gioco del destino, viene
brutalmente ridotta a un suo surrogato, proprio in nome della libertà stessa.
Infatti, chi non si crede libero fino al punto di potersi impegnare, chi non si
sente talmente padrone di sé stesso da potersi dare
perché "cosi gli va", in fondo non è del tutto libero, ma piuttosto
incatenato a ciò che è fugace, alla superficie, al solo presente. Ecco, quindi, perché in un impegno come quello coniugale non c'è
perdita della libertà, ma il suo più completo esercizio. Quando un uomo
e una donna, perché si amano, vogliono elevare a totalità, per sempre, il loro
amore e vogliono esercitare pienamente tutta la loro libertà e capacità di
essere una unità coniugale, sono invitati dall'amore
stesso in modo naturale a impegnarsi e ad amarsi mediante un atto libero della
volontà. È soltanto questo impegno ‑ atto di
volontà nel presente, che mette in gioco la totalità del futuro che instaura
realmente l'unione coniugale.
L'alleanza
matrimoniale
La prima dimensione del "sì" dei contraenti è, quindi, quella di essere un atto volontario di impegno. Nell'alleanza matrimoniale si danno, però, anche altre dimensioni inseparabili. Vediamole.
È opportuno ricordare
che l'amore tra uomo e donna è, nella sua origine, un
dono gratuito. Questo vuol dire che, sia esso
spontaneo o volontario o entrambe le cose insieme, l'amore tra uomo e donna è
un regalo; dunque, qualcosa che può essere nato per un qualunque motivo, tranne
che per un dovere. In principio, perciò, amare è
qualcosa che non è dovuto, qualcosa che si dà gratuitamente. Si può pertanto dire che proprio dell'amore è essere un atto libero e
gratuito, una donazione, un regalo. In nessun caso, comunque,
una cosa dovuta.
[...] In effetti uomo
e donna diventano sposo e sposa quando, per mezzo di un determinato tipo di
impegno, si donano realmente l'uno all'altra ‑ senza metafore letterarie ‑
tutta quanta la mascolinità e tutta quanta la femminilità, formando cosi
insieme un'unica unità nell'aspetto coniugabile delle loro persone. L'uomo
ormai non possiede più la sua mascolinità perché l'ha donata alla donna, e la donna ormai non possiede più la sua femminilità perché l'ha
donata all'uomo, cosicché non sono più due (un uomo e una donna che si amano e
che entrano in relazione tra loro), bensì una sola carne, una comunità in ciò
che hanno di coniugabile. Sposi. Per la sposa, l'uomo è il
suo uomo; per lo sposo, la donna è la sua donna. Nessuno li obbliga a
darsi l'uno all'altra, rispettivamente nella loro mascolinità e femminilità,
come sposo e sposa: per questo la decisione è libera.
Neppure si dovevano reciprocamente il dono di sé: per questo la donazione è,
nell'atto originario dell'instaurazione dell'unione personale, un dono
gratuito. A partire dall'istante in cui si donano
reciprocamente come uomo di questa donna e come donna di questo uomo, si
appartengono reciprocamente come sposi.
Dall'amore
gratuito all'amore dovuto
Che trasformazione è intervenuta? È successo che, al farsi dono della mascolinità e della femminilità, uomo e donna hanno ricostituito veramente l'unità originaria dell'uomo nella prima e più naturale solidarietà possibile all'essere umano, dì modo che l'uomo è uomo dì questa donna e la donna è donna di quest'uomo, formando l'unità di natura che la coniugalità (mascolinità femminilità) delle persone contiene e rende possibile. Essi sono una sola carne. In ciò che hanno di coniugabile, ormai, non si appartengono più. Hanno deciso di possedersi reciprocamente, di "co‑possedersi": si sono sposati tra loro. Per questo, propriamente, non sono più soltanto un uomo e una donna, ma sposi: sono una coppia. Hanno deciso liberamente di trasformare la gratuità originaria del loro amore in un'esigenza di giustizia, in "debito d'amore".
Questo è l'aspetto
"matrimoniale" del "si" dei contraenti: con quell'assenso non si tratta di accordarsi per vivere
insieme, quanto piuttosto di assumere la comunità di vita coniugale come debito
per giustizia, come unione reciprocamente dovuta. Ciò che rende matrimoniale un
"si" tra uomo e donna è il fatto che essi si
danno l'uno all'altra a titolo di debito ‑ si sposano ‑ e si
costituiscono in comunità "dovuta".
Possiamo, così,
affermare che uomo e donna si amano perché lo vogliono: il loro amore è un regalo
gratuito. Sposo e sposa, invece, sono l'uomo e la donna che, amandosi, hanno voluto divenire, mediante un atto della volontà, mutui
co‑possessori, hanno deciso di doversi l'amore
coniugale, hanno conformato la loro unione a una esigenza, a un vincolo di
giustizia: poiché sono diventati l'uno dell'altra, si devono l'uno all'altra. E
questa non è una bella metafora: questo essere l'uno dell'altra, questo non
essere più due bensì "unione coniugale dovuta" e questo "doversi
per giustizia" l'uno all'altra nella rispettiva dimensione coniugabile vanno intesi in senso rigorosamente letterale. È questa la
spiegazione del termine "alleanza matrimoniale". [...]
Il
significato personale del matrimonio
Seguendo il nostro
ragionamento, può forse emergere l'insolita grandezza e la novità dell'alleanza
matrimoniale in rapporto a tutti quegli altri atti e propositi di amore che solitamente accompagnano la vicenda affettiva
che lega un uomo e una donna.
L'alleanza, infatti, è matrimoniale in quanto introduce quel momento inedito,
la liberissima decisione mediante la quale uomo e donna si impegnano a diverso
amore e unità coniugale. L'amore, originariamente gratuito, si converte in
oggetto di alleanza, di patto, si è trasformato,
mediante la loro decisione (l'atto di sposarsi), in amore e unità dovuti. Essi
non sono più, tra di loro, uomo e donna, ma più esattamente sposi.
Comprenderemo adesso
con maggior chiarezza perché le cerimonie e i documenti legali non possono
essere, propriamente, il "sì" matrimoniale. Nessun funzionario, nessuna legge, nessuna formalità può sposare, ossia detenere
il potere magico di trasformare un uomo e una donna in sposi. La loro decisione
personalissima ‑ presupposto per qualunque cerimonia legale ‑ è
l'unica ed esclusiva forza in grado ‑ se essi si danno reciprocamente a
titolo di debito ‑di farli diventare sposi, di vincolare la loro coniugalità con una relazione di giustizia. Non deve
sorprendere, di conseguenza, l'ancestrale convinzione
popolare che individua un "prima" e un "poi" nell'amore
matrimoniale: il "prima" di amarsi come uomo e donna; il
"poi" di amarsi come sposo e sposa. Tra quel "prima" e quel
"poi" interviene, a mediare, un atto fondazionale ‑il “si”
dell'alleanza ‑, che in tutti i popoli e in tutte le culture si specifica
con diverse solennità e riti. La sostanza è nel "volersi amare a titolo di
debito per tutta la vita", mentre la forma è data
dalle cerimonie, con la solennità che è loro propria. Ma
ciò che conta, più che la forma, è la sostanza. Pertanto,
nessuno può sposare: né il funzionario, né il sacerdote, né le formalità, né i
documenti legali; sono i coniugi che si sposano.
È frutto
dell'intuizione popolare e della tradizione umana, da sempre, anche la
considerazione che dopo il matrimonio qualcosa di nuovo è avvenuto nella
coppia, è l'intuizione del vincolo, il non essere più due ‑ come prima ‑,
ma, propriamente, unità coniugale dovuta e, a motivo di
questo, per tutta la vita. Con questa affermazione si
vuol dire che l'amore tra uomo e donna è un regalo, un qualcosa che si mantiene
sul terreno della gratuità in quanto coloro che si amano (due fidanzati) non
sono ancora propriamente vincolati tra loro. Possono anche amare veramente, ma
non si devono il loro amore in conseguenza di una loro
decisione. Tutto ciò che si danno, se lo danno perché
"gli va", fino a che permanga il desiderio di regalarsi il loro amore.
Questo amore non è tra loro dovuto perché non l'hanno ancora trasformato in
oggetto di alleanza matrimoniale. Tra sposo e sposa
c'è, invece, qualcosa di più e di essenzialmente nuovo: hanno deciso di darsi
l'uno all'altra e di doversi, per necessità di giustizia, la loro unità
coniugale. L'alleanza matrimoniale è proprio l'atto di
volontario impegno attraverso il quale i due hanno voluto, fondandola, proprio
questo tipo di unione dovuta "secondo giustizia".
La donazione
reciproca è così reale da porre in essere un vincolo dovuto: tutto ciò che uno
è e potrà essere come persona (uomo o donna) non è più "suo", ma del suo sposo. Mediante il patto coniugale, quello che originariamente
era un regalo, un fatto gratuito ‑ che a nessuno era dovuto ‑, è
stato volontariamente convertito in debito coniugale, in un mutuo diritto.
È importante sottolineare che l'alleanza matrimoniale implica un notevole
esercizio della libertà e che ha un profondo contenuto di donazione dell'uno
all'altra. Amarsi fino all'estremo di "doversi" l'amore è la massima
espressione possibile dell'amore nella coppia umana. Per questo, impegnare
l'amore a titolo di debito è, oltre a un nuovo e
superiore atto di amore, l'espressione fondazionale
del matrimonio. Non esiste, di conseguenza, alcuna contraddizione tra l'amore e
l'alleanza matrimoniale.
Il consenso espresso il giorno delle nozze non è solo
un momento di particolare intensità nella vicenda sentimentale dell'uomo e
della donna che con esso si legano, ma è atto unico e irripetibile, che fa
diventare i due sposi definitivi debitori di reciproco amore.
È bene precisare che ci risparmieremo errate comprensioni della natura della
"alleanza matrimoniale" se non interpreteremo i termini co‑possessione, debito, vincolo, relazione di
giustizia e altri da questi derivati: per esempio, patto o contratto, abbiamo
utilizzato per penetrare nell'essenza del "sì" matrimoniale, secondo
il significato che hanno nel mondo del commercio. Gli sposi non si posseggono così come si possiede un terreno, delle azioni o
un'automobile. Nemmeno il senso coniugale del "doversi l'un l'altro come coniugi" è equivalente a quello di un
debito quantificabile in denaro, la cui insolvenza apre le porte alla
possibilità della confisca dei beni. In realtà, qualunque interpretazione
dell'alleanza o del vincolo matrimoniale alla luce di concetti giuridici
meramente positivi, legali o patrimoniali è erronea
fin dalla radice. Il matrimonio è innanzitutto una
realtà naturale interpersonale, e pertanto sostanzialmente estranea alle realtà
commerciali e patrimoniali. Tuttavia, il linguaggio umano è povero e non ha
altre parole per approssimarsi al significato di fondo
presente in quella reale e profondissima donazione. Le parole che abbiamo
utilizzato godono di secolare tradizione e a tutt'oggi, nonostante la loro limitatezza, non ne abbiamo
di migliori. Con le imprescindibili precisazioni, queste parole di grande tradizione giuridica continuano a essere, in
qualunque cultura, le più precise e penetranti.
Pedro Juan
Viladrich