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Ad Aldo Manuzio  *

 

DAI TEMPI

 

DEL "GOBO DE RIALTO"

 

                       Illustre umanista tipografo,

 

                       ritorno da una rapida visita alla Mostra "Venezia città del libro". Mi hanno fatto vedere cose assai interessanti, ma con piacere ho indugiato davanti alla bacheca riservata a libri usciti dalla vostra celeberrima stamperia agli inizi del Cinque­cento.

  Ho ammirato ancora una volta i vostri caratteri stretti, chiari, inchinati verso destra. Ho rivisto il vostro stemma con l’ancora, il delfino e il motto "festina lente" ("affrettati, ma lentamente").

Nella Venezia del Cinquecento, tra Rialto e san Marco erano centocinquanta le stamperie e librerie, ma la vostra le ha superate tutte. Lavorando per amore di cultura e di arte siete morto quasi po­vero, mentre i vostri colleghi facevano fortuna, come quel Nicolò Janson, di cui scrive Marin Sanudo, che "vadagnò col stampar assai denari".

         Mi spiacque vedere fianco a fianco un libro vostro e un libro "pirata" dello stampatore fioren­tino Giunta, che a Lione vi copiava rozzamente, ar­recandovi danno col plagio e con la disonesta con­correnza. Anche esaminando libri di quattrocento an­ni fa, saltano dunque agli occhi affari poco puliti e la deprecata fame dell’oro.

              Si notano pure le tendenze dei lettori antichi. Mentre, infatti, passavo a visitare i libri settecen­teschi di altro celebre tipografo, il Remondini, la guida mi spiegò: questo qui ha stampato una tra­duzione di Gil Bias, romanzo del Lesage, che andò a ruba in un battibaleno: ha stampato il Nuovo fior di virtù e la Giornata del cristiano e i librai gli scrissero: "nessuno ne piglia".

                  Pare di essere nel Novecento! E’ proprio vero che gli uomini e i cristiani fanno fatica a cambiare!

 

***

      Caro Manuzio, pagherei qualcosa per vedervi in una tipografia di oggi.

              Il vostro torchio stampava trecento fogli in una giornata; le rotative di oggi buttano fuori de­cine di migliaia di giornali in un’ora. Al vostro tempo i libri erano tanto preziosi che si fissavano con catenelle agli scaffali delle biblioteche, pochi potevano acquistarli, i papi comminavano scomuni­che contro chi avesse osato rubarli.

              Oggi i giornali letti si buttano via a tonnellate; in America i giovani lettori sdegnano conservare i libri: li comperano e, a mano a mano che avanzano nella lettura, strappano le pagine lette e le gettano via; arrivati alla fine, rimane del libro solo la co­pertina e viene gettata anche quella.

              Direte: "Allora, son libri che valgono poco!". Vi rispondo: ce n’è di contenuto buono, ce n’è di vuoti, ce n’é di pessimi, davanti ai quali il Polifilo,  editorialmente il più bel libro del mondo, da voi stampato, fa la figura di un libro di pre­ghiere per monache.

              Umanista qual siete, ricordate senza dubbio il capitolo 3° del libro 80 de "La Repubblica" di Pla­tone. Vi sono enumerati i segni della decadenza democratica: i governanti sono sopportati dai sud­diti solo a patto che autorizzino i peggiori eccessi; chi obbedisce alle leggi è chiamato stupido; i padri hanno paura di correggere i figli; i figli oltraggiano i loro genitori ("per essere liberi" scrive ironica­mente Platone); il maestro ha paura dello scolaro e lo scolaro disprezza il maestro; i giovani si danno aria di essere anziani e gli anziani si rimpinzano di barzellette per imitare i giovani. Le donne appaio­no uomini al vestito, eccetera, il capitolo lo cono­scete.

               Ebbene: in certi nostri libri quel che Platone scriveva rimproverando e ironizzando, viene scritto sul serio, talora addirittura come tesi di teologia.

               I ragazzi sono impazienti di sviluppare la loro vita sessuale? Si afferma che la castità è repressione favorevole al capitalismo, medievalismo superato e che bisogna fare la "rivoluzione sessuale".

              Nel corpo di una donna sta spuntando "per mala ventura" una vita? Premessa una brava di­stinzione teologica tra "vita umana" e "vita uma­nizzata", si afferma: la vita umana, ma non ancora umanizzata, si può interrompere senza scrupolo.

              I figli non obbediscono? Ebbene, i genitori facciano a meno di dare ordini e di tormentare que­sti cari piccini! A scuola gli alunni non imparano più le lezioni? Semplice: si sopprimano le lezioni; basta la scuola che impartisce la società, senza la mediazione dei maestri, perché non si tratta tanto di far imparare le materie, quanto di far discutere dai ragazzi problemi sociali.

              Gli studenti sono seccati per i voti e le clas­sifiche? Via le classifiche: sono discriminanti e in­degne di una società egualitaria. Uno vuol esercitare la medicina? Chi glielo impedirà, se è stato iscritto, esami o non esami, studio o non studio,  per sei anni all’Università?

     Non dico di altre bellissime affermazioni che a un umanista come voi farebbero rizzare i capelli.

 

              Vorrei invece che vedeste un po' i giornali, i rotocalchi, tutta roba che ai vostri tempi esisteva solo in germe. Esisteva, infatti, ed esiste tuttora, in campiello san Giacometo, il "Gobo de Rialto", statua di nano, alla quale venivano appesi foglietti volanti pieni di frizzi e di notiziole, che la gente andava a leggere con curiosità. Giornale in minia­tura con mini-lettori!

              Vedeste oggi le processioni, che s’incolonnano verso le edicole dei giornali. Se leggeste qualcuno dei settimanali illustrati, talora pieni di indecenze, e se vi impratichiste alla lettura dei quotidiani, ve­dreste che ne abbiamo fatta della strada dai tempi del "Gobo de Rialto"! Non più rari foglietti; le notizie vengono rovesciate a valanga sulla gente ogni giorno, senza farsi aspettare.

              La Repubblica di Venezia si vantava di poter conoscere entro tre mesi i fatti di tutto il Mediter­raneo: noi vediamo gli astronauti nell’attimo stesso in cui sbarcano sulla Luna, a un metro di distanza.

              Purtroppo, le notizie quasi ci sommergono con la loro frequenza e abbondanza, non ci lasciano il tempo di riflettere; a furia poi di venir sbalorditi, un po' alla volta finiamo per non meravigliarci più di niente e per non gustare cose anche belle.

              Dobbiamo anche fare i conti con le pressioni. Tento di darvene un’idea. Funzionano in America cattedre universitarie di "pubblicità"; insegnano a prender di mira la psicologia dei consumatori, agen­do direttamente sul sistema nervoso dell’individuo e sul suo complesso di inferiorità, fino a portarlo al dilemma seguente: o io acquisto il tal prodotto, o sono senza appello condannato all’infelicità.


 

              Sul rotocalco, ad esempio, vi fanno vedere la simpatica signorina Rachele. E’ bella ed attraente, ma, nelle feste, nessuno la invita a ballare. Perché? lo scopre essa stessa, ascoltando casualmente una conversazione: "Rachele dovrebbe consultare un dentista per il suo alito!".   E il dentista, subito con­sultato, sentenzia: "Il suo, signorina, non è un pro­blema, basta usare il dentifricio tal dei tali". Ra­chele lo usa, ed eccola tornata felice, corteggiata e ammirata! Il caso è tipico della civiltà consumisti­ca: si riferisce alla pubblicità, ma potrei citare altri casi presi dalla politica e dal sindacalismo, dove ope­ra la propaganda ideologica e il persuasore occulto.

 

***

              Sicché, caro Manuzio, noi oggi guardiamo meno agli stampatori e più ai responsabili della stam­pa periodica. Se questi avessero la vostra delica­tezza professionale! Il "culto della notizia" non do­vrebbe far loro dimenticare il dovere della carità e della giustizia verso i privati ordinariamente in­difesi davanti alla stampa e verso la società. Non tut­ti sono in grado di reagire davanti al giornale, che attacca, come lo statista Thiers, che diceva: "La­sciate che scrivano! Sono un vecchio ombrello, sul quale piovono ingiurie da più di quaranta anni. Goccia più goccia meno fa lo stesso!".

              Voi, a Venezia, avevate la censura, che con­trollava i vostri libri. Oggi la censura non c'è, si può dire. Se funzionasse almeno un po’ di autocen­sura! E’ vero però che molto dipende anche dai lettori: se questi manifestassero gusti più seri, l’au­tocensura funzionerebbe subito e anche i giornali diventerebbero più seri, perché è risaputo che la gente ha i giornali che si merita e che desidera.

      Succederà? Speriamolo.

              Per il momento, se foste qui, vi stringerebbe il cuore nel vedere una enorme montagna di stam­pa cattiva di fronte a un modesto mucchietto di stampa buona. E’ un problema che i cattolici, se sono tali, dovrebbero risolvere con sforzi sinceri.

      Dicono i tedeschi: "La mucca è magra e vo­lete che dia latte abbondante? Datele più fieno!".

              Mark Twain, ai tempi in cui dirigeva un gior­nale, non si limitava a scrivere e far scrivere, ma ne faceva propaganda con tutti i mezzi possibili: un giorno apparve in prima pagina una vignetta con un asino in fondo a un pozzo. La “legenda” chiedeva: "Chi sa dire perché questo povero somaro è morto in fondo a! pozzo?". Pochi giorni dopo la vignetta era riproposta e la “legenda” diceva: "Il povero so­maro è morto, perché non ha chiamato aiuto!".

      Caro Manuzio! Sono io quel somarello. Chia­mo aiuto per la stampa buona!


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* ALDO MANUZIO, tipografo ed editore (1449-1515), nato a Bassiano (Velletri); fondò a Venezia nel 1494 una tipografia diventata poi famosa per l’eleganza dei caratteri tipografici da lui inventati, chiamati "italici" o "aldini", e la cura filologica delle sue edizioni di classici.


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Albino Luciani

Illustrissimi

Edizioni Messaggero - Padova

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