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Concordo con Pera:

Concordo con Pera:
lui ci invita a guadare in faccia
la realtà del terrorismo islamico

Intervista con Magdi Allam
9 settembre 2005

Il discorso di Marcello Pera a Rimini ha subito una strana sorte. Pronunciato davanti alla platea del Meeting è stato applaudito con entusiasmo; passato poi al vaglio dei giornali dei giorni successivi è invece divenuto uno di più ambiti bersagli polemici dell'estate, fino ancora ad oggi. Non c' è stato politico in Italia che non si sia tolto lo sfizio di ridicolizzare la posizione del Presidente del Senato sulla questione del meticciato culturale in Europa. Che cosa è successo e che cosa rivela questo fenomeno?

Io mi domando prima di tutto, quanti tra coloro che hanno criticato o condannato il discorso del presidente Pera, l'abbiano effettivamente letto. Quanti si siano presi la briga di leggere quelle 16 cartelle di testo da cui si sarebbe compreso come il discorso era essenzialmente fondato su valori e principi e teso alla tutela dell'identità occidentale, all'interno del quale il riferimento al termine "meticci", che compare in una riga, è un riferimento che va contestualizzato.

La parola "meticci" compare nel testo tra virgolette: questo già di per sé sottintende l'uso traslato della parola in un contesto dove evidentissimamente non si parla di razze in senso biologico ma si parla di valori, di cultura, di civiltà. Ecco perché io credo che questa polemica sia in gran parte infondata, spesso pregiudiziale o strumentale nei confronti di una alta carica istituzionale, di un uomo politico e di un intellettuale che ha il coraggio di assumere posizioni forti, posizioni che oggi toccano l'essenza del problema: la grande confusione di cui soffre l'identità dell'Occidente davanti alla minaccia terribile che è insita nel terrorismo di matrice islamica.

Messa da parte dunque l'accusa risibile rivolta a Pera di essere un fautore del razzismo, proviamo ad analizzare meglio la natura del suo allarme. Il modello di integrazione multiculturale, in cui i valori e i segni della tradizione dell'Occidente ospitante si affievoliscono e si adattano alle culture dei nuovi venuti, sull'onda di un relativismo che rende tutto indistinto, ha mostrato di non funzionare. Quale è allora la possibile alternativa di convivenza?

Occorre innanzitutto analizzare correttamente la realtà dell'Occidente, come mi sembra Pera abbia fatto. Ciò serve a non incorrere nell'errore del relativismo, che, attenzione, non è solo l'idea secondo cui tutto debba essere messo sullo stesso piano, ma oggi è anche l'atteggiamento che rischia di far venire meno quello che tutti dovremmo considerare il valore primario e fondamentale, quello della vita. Siamo arrivati a una deriva intellettuale che produce, in ambito islamico, la negazione della vita come la massima aspirazione, si disconosce cioè il valore della vita propria e altrui; mentre in ambito occidentale si percepisce questo tipo di atteggiamento e i soggetti che lo incarnano come una forma particolare di civiltà cui si attribuisce il diritto di resistenza verso una presunta aggressione da parte dell'Occidente stesso.

Questa analisi della situazione dell'Occidente è suffragata dalla constatazione del fallimento dell'approccio multiculturale laddove esso è stato sperimentato, come in Gran Bretagna e in Olanda. Lo si è visto dopo l'assassinio di Theo Van Gogh e in particolare dopo le bombe di Londra il 7 luglio scorso. Lì per la prima volta abbiamo visto entrare in scena terroristi suicidi con cittadinanza inglese e con motivazioni che nulla hanno a che fare con la questione palestinese, la questione irachena, situazioni di indigenza o di ingiustizie da colmare. Ciò che invece mette in moto il fenomeno è qualcosa che attiene proprio alla schizofrenia identitaria di questi soggetti, che essendo cittadini europei, nati e cresciuti in Europa, disconoscono i valori dell'Occidente, rifiutano la civiltà occidentale e finiscono per aderire all'alternativa dell'estremismo islamico.

C'è stato un sondaggio all'indomani degli attentati del 7 luglio che ha mostrato come ben l'88 per cento dei musulmani con cittadinanza britannica, afferma, per ragioni diverse, di non considerarsi un cittadino britannico. Questo mostra la crisi di identità che è presente in una situazione che rientra appieno nella scelta "multiculturale", e fa comprendere come sia profondamente sbagliato immaginare che sia sufficiente concedere la libertà a tutti perché la libertà diventi un patrimonio di tutti. Come ancora sia sbagliato immaginare che la concessione del passaporto a seguito di un certo numero di anni di residenza in un paese equivalga all'adesione all'identità nazionale di quel paese. Quel sondaggio spiega invece come oggi ci si debba imporre una revisione critica, per andare verso un modello di coesistenza all'interno dello stesso spazio sociale, giuridico e politico, in cui l'identità comune deve significare profonda adesione al sistema dei valori fondanti della società che accoglie. La questione identitaria di una civiltà che abbia un radicamento forte, che faccia riferimento ad una tradizione condivisa, rappresenta oggi il punto di partenza ineluttabile per questa revisione critica. All'interno di questo sistema di valori si possono allora individuare quegli spazi di libertà di culto e di libertà di manifestazione di specificità culturali che in un mondo globalizzato debbono certo essere salvaguardati.

È l'impostazione che sembra affermarsi con la decisione di introdurre il reato di apologia del terrorismo e con l'espulsione di chi si dedica alla predicazione dell'odio. Pensiamo ai casi di Omar Bakri in Gran Bretagna o quello recente di Bouriqui Bouchta a Torino. Ti sembra la strada giusta?

Io considero questa impostazione una vera svolta giuridica e culturale nella lotta contro il terrorismo di matrice islamica e mi auguro che si affermi, che venga applicata e che si diffonda. Non sarà facile, c'è infatti ancora un prevalente ideologismo che ci rende sordi alle minacce chiare che ci vengono rivolte.

La svolta è comunque importante. Ci sono infatti due livelli nel fenomeno terroristico: uno superficiale, e uno sotterraneo che attiene alla formazione ideologica del terrorista. Il primo livello si combatte con l'intelligence, con la repressione, con le forze di polizia. Ma la battaglia la si vince solo quando si riuscirà a smontare quella che io chiamo la fabbrica dei kamikaze. Questa fabbrica dispone di una vera catena di montaggio in cui la prima fase è proprio la predicazione violenta e l'incitazione all'odio. Il prodotto finito, dopo le varie fasi di indottrinamento, addestramento, arruolamento, smistamento ecc.. è appunto il terrorista kamikaze. Questa predicazione, questo incitamento non può più essere confuso con un reato di opinione.

Oggi questo si è finalmente capito.

Con molto ritardo e molti dubbi...

Certo ci sono voluti gli attentati di Londra, c'è voluto lo shock di vedere cittadini britannici farsi esplodere nella metropolitana per capire che il multiculturalismo aveva generato dei mostri. Aveva trasformato il paese in un grande ghetto etnico-confessionale dove la grande perdente è stata l'identità nazionale del paese. E' venuto meno il collante che rende una nazione unita attorno a valori forti e condivisi. Questo ha fatto infine comprendere che la battaglia vera è una battaglia di idee. Ecco perché una delle prime iniziative assunte da Blair dopo il 7 luglio, ma solo dopo il 7 luglio, è stata quella di sanzionare il reato di apologia del terrorismo. Il degrado che alimenta l'azione terroristica non è quello materiale, è un degrado delle menti e per questo va fermato il lavaggio del cervello che da il via a tutto il processo.

L'appello di Pera si inserisce in questo contesto. Il suo richiamo ad una identità forte dell'Occidente rappresenta indiscutibilmente l'unica via di uscita per gli occidentali stessi e per tutti quelli che hanno scelto l'Occidente come patria di adozione. E' solo in un contesto di questo genere, dove esiste un punto di riferimento preciso e condiviso, che può essere guarita sia la schizofrenia identitaria di chi vive nell'isolamento dei ghetti etnici, sia la debolezza e la confusione dell'Occidente. Ed è sempre e solo in questo contesto che si può fondare una genuina libertà di culto e di espressione per tutti.

Resta a maggior ragione molto strano il tenore degli attacchi verso le tesi di Pera, poiché nelle sue tesi si trova proprio la preoccupazione che una eccessiva enfasi sulla difesa dei diritti delle culture e dei popoli metta in sottordine la tutela dei diritti degli individui che magari in quelle culture e in quei popoli si sentono sottomessi e soggiogati. Si tratta di un punto di vista tipicamente liberale, lo stesso che i suoi molti critici lo accusano di aver tradito...

È così. Sono assolutamente convito che da parte della sinistra italiana e anche da parte di ambienti cattolici di base ci sia un approccio sbagliato verso la realtà islamica. Perché poi questo è il problema, non certo quello dei cinesi, degli indiani o dei latino-americani: la questione sorge nel rapporto con i musulmani. C'è infatti un atteggiamento improntato vuoi a ingenuità, a buonismo, a carità cristiana, a ideologismo, che fa sembrare necessario se non indispensabile consentire il libero manifestarsi di questa realtà così diversa e complessa senza porsi il problema delle conseguenze.

In realtà poi quelle conseguenze le stiamo già sperimentando: l'Europa è già trasformata, non soltanto è diventata terreno di cultura del terrorismo islamico ma anche una roccaforte di quel terrorismo. Allora il problema è sempre lo stesso: alcuni, in Italia, in Europa, in Occidente, ma specialmente in Italia, continuano, a dispetto dell'evidenza, a filosofeggiare nel senso che ho detto, senza considerare il contesto storico attuale. Come cioè se noi non vivessimo in questa fase storica buia, contrassegnata dall'offensiva del terrorismo di matrice islamica e come se anche l'Italia non fosse già pesantemente penetrata da questi fenomeni. Si ragiona in termini totalmente privi di confronto con la realtà: si fanno discorsi generici come si sarebbero fatti dieci o vent'anni fa, non ci si cala affatto nel vissuto attuale. Questo fa sì , ad esempio, che quando di parla del rapporto tra sicurezza e libertà, si affermi in modo acritico che non si può rinunciare a nulla della nostra libertà in nome della sicurezza, perché questo equivarrebbe a cedere al terrorismo. Non ci si accorge che, nella fase attuale, ad essere minacciata non è la libertà ma la vita. Oggi, solo difendendo la vita e la sicurezza dei cittadini possiamo difendere anche la loro libertà.

Viene qui da citare Papa Ratzinger quando parla di un "Occidente che si odia". Di un Occidente che appare più indulgente verso gli eccessi dell'estremismo islamico che non affezionato a se stesso e ai suoi valori. Questo è un dato di fatto: c'è troppa gente in Italia, a sinistra ma non solo, che sembra più preoccupato della tutela di mire altrui che non della difesa dei legittimi e sani interessi della società cui si appartiene.

Nel dibattito italiano su questi temi esistono alcuni vizi semantici, formule che si utilizzano più per affermare un posizione che non per aiutare il ragionamento. Uno di questi luoghi linguistici, forse il più frequentato, è il cosiddetto "Islam moderato". Ecco, proprio per tornare ad una tua affermazione precedente, quale è il grado di realtà con cui generalmente ci si riferisce a questa categoria?

Prima di tutto è sempre sbagliato riferirsi all'Islam come a qualcosa di unico e di monolitico. Sappiamo bene che non è così: la religione dell'Islam, più ancora che nel Cristianesimo, presenta moltissime differenze nel suo stesso ambito. L'Islam si fonda sul rapporto diretto tra l'uomo e Dio. Questo, assieme alla assenza di un intermediario, di un clero riconosciuto, di una figura carismatica di riferimento come il papa, dovrebbe fare dell'islam la religione paradossalmente più laica di tutte.

Pensiamo al fatto che in Italia solo il 5 per cento dei musulmani frequenta la Moschea. Voglio dire che non esiste un homo islamicus, un prototipo di fedele che discenda in modo diretto e univoco dal dogma della fede. Esistono persone che hanno con la religione rapporti molto diversi e molto complessi. Perciò parlare di Islam moderato come di Islam radicale quasi fossero categorie fisse non ha molto senso.

A mio avviso non è utile impostare una discussione sul piano dottrinario o religioso. Dobbiamo confrontarci con le persone vere. Più che di islam moderato io parlerei di musulmani che in questa particolare fase storica condannano "senza se e senza ma" il terrorismo e affermano in modo inequivocabile il valore e la sacralità della vita di tutti. Questo è oggi il discrimine tra la civiltà e la barbarie. Occorre che la condanna del terrorismo sia limpida e senza distinguo, perché troppo spesso sentiamo musulmani dire che è sbagliato ad esempio far esplodere un bomba a Londra, ma che in Israele o in Iraq è un'altra cosa.

Io direi per concludere: individuiamo i musulmani moderati come quelle persone che condividono i valori compatibili con ciò che definisco la comune civiltà dell'uomo. Queste realtà esiste e opera. Lo stesso presidente Pera, il 17 settembre del 2004 ricevette per la prima volata al Senato una delegazione di musulmani sottoscrittori di un manifesto contro il terrorismo e per la vita. Io partecipai a quell'incontro e ricordo bene il saluto con cui Pera si congedò da quella delegazione. Disse: "crescete e moltiplicatevi".

 

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